Medio Oriente
Vivere a Gaza: carestie, propaganda e verità negate. Il finto racconto del ‘blocco israeliano’ mentre Hamas controlla gli aiuti umanitari

Da mesi, l’opinione pubblica globale è bombardata da titoli e immagini che evocano una drammatica carestia a Gaza. Le immagini strazianti, i titoli accesi e la denuncia di un presunto “blocco israeliano” colpevole di affamare un’intera popolazione hanno costruito una narrazione potente, ma incompleta. La realtà, come spesso accade in guerra, è molto più complessa. E, pur rischiando anatemi e j’accuse, vale la pena raccontarla senza pregiudizi, con l’aiuto di numeri e fatti.
I dati del sistema sanitario palestinese
Un report pubblicato da HonestReporting ha analizzato i dati ufficiali del sistema sanitario palestinese: 92mila bambini visitati nei centri sanitari di Gaza nel marzo 2025, con 3.722 diagnosticati con malnutrizione. Numeri che fanno male e suscitano rabbia e voglia di riscatto per vittime innocenti. Indicano una sofferenza reale, ma circoscritta: si tratta di circa il 4% del totale. Nonostante l’emotività con cui la questione viene trattata, l’ONU al momento non ha dichiarato alcuna carestia ufficiale a Gaza. Parlare di “vite a rischio per fame” in modo così generalizzato può quindi essere fuorviante, soprattutto se non si considerano gli altri attori coinvolti.
Gli aiuti militari
Poco si dice del fatto che Hamas, organizzazione che ha rivendicato con orgoglio attacchi terroristici, uccisioni e violenze contro donne e bambini, e che rende la stessa popolazione della Striscia prigioniera di sé stessa, controlla di fatto ogni ingresso di beni a Gaza, inclusi gli aiuti umanitari. Numerose testimonianze riferiscono che gli aiuti gratuiti vengono sequestrati e rivenduti nei mercati locali; i convogli subiscono rallentamenti o vengono deviati per logiche di potere, e la popolazione civile è spesso ostaggio di queste dinamiche. Attribuire ogni responsabilità a Israele o ad altri attori, senza citare Hamas, è una semplificazione che non aiuta né la comprensione né la pace. Sui social, in particolare su Instagram ed ex Twitter/X, sta emergendo una narrazione parallela.
L’altra narrazione
Per esempio, l’account @gazayoudontsee raccoglie contenuti postati da residenti e attivisti digitali di Gaza che mostrano scene di vita quotidiana: mercati affollati e riforniti, cucine con ricette locali, ristoranti attivi anche di alto livello, famiglie che festeggiano, cucinano e vivono. Vita di tutti i giorni in contesti apparentemente lontani dal collasso umanitario descritto da una certa narrazione mainstream. Questi contenuti non negano il conflitto, ma offrono un’altra faccia della realtà: quella che i media spesso scelgono di non mostrare. Media che, nel caso di Gaza, sono spesso embedded tra le forze paramilitari di Hamas, che dispone di una vera e propria macchina comunicativa, con addentellati anche tra le fonti di alcune ONG e delle principali agenzie d’informazione globale. Due mesi fa, di fronte all’accusa che gli aiuti alimentari finissero nelle mani di Hamas anziché alla popolazione civile, Israele ha bloccato l’ingresso di nuovi convogli. In risposta, gli Stati Uniti hanno proposto una soluzione alternativa: una fondazione umanitaria indipendente, supportata da contractor privati e sotto supervisione militare, per distribuire direttamente gli aiuti alla popolazione, escludendo Hamas.
Il blocco ONU
Israele ha approvato l’iniziativa, ma sorprendentemente a bloccarla è stata l’ONU, opponendosi a una gestione che escludesse il gruppo terroristico. Questo paradosso ha sollevato interrogativi sulla coerenza delle istituzioni internazionali e delle organizzazioni umanitarie, che sembrano accettare la mediazione di Hamas pur di mantenere il controllo sulle operazioni. Nel frattempo, la popolazione civile continua a soffrire, mentre gran parte dei media internazionali ignora o omette questi sviluppi, preferendo una narrazione parziale della crisi. Sì, a Gaza si soffre, e questa analisi è tutt’altro che assolutoria. Sì, l’accesso al cibo è reso difficile dal conflitto, e per fortuna sul tavolo dei negoziati si stanno valutando interventi umanitari che sfuggano al controllo di Hamas.
La distorsione mediatica
La guerra va fermata ora, subito, col rilascio degli ostaggi e lo stop alle operazioni militari come ha detto Papa Leone XIV, nel Regina Coeli dell’11 maggio 2025, pronunciando parole nette. Un richiamo chiaro a tutte le parti in causa, ma anche a chi, nel nome della neutralità, finge di non vedere dove stia il vero ostacolo alla pace e alla dignità umana. Ma definire questa crisi solo in termini di “carestia” o rischia di essere una distorsione mediatica, utile solo a chi ha interesse a polarizzare e semplificare. Come cittadini, comunicatori e lettori, dobbiamo pretendere di più: dati verificabili, contesto, equilibrio. E la capacità di vedere anche “la Gaza che non si vede”.
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