La guerra al terrorismo
Trump pensa a Putin come mediatore. L’ipotesi comica e le altre contraddizioni dell’Occidente

In un momento come questo, l’analisi critica e auto critica è cruciale. Ed è indispensabile avere una visione globale del terribile scontro geopolitico che è in corso. Può piacere o dispiacere, ma rispetto a ciò che è avvenuto nel 1989-91 con il crollo per implosione del comunismo in Russia, le cose sono profondamente cambiate: non c’è stato il trionfo dell’Occidente e della liberal democrazia. Al contrario, in Occidente, sono esplose molteplici contraddizioni. E stiamo subendo un attacco a tre punte costituito dall’alleanza fra la Russia di Putin, l’Iran di Khamenej, e la Cina di Xi Jinping.
La crisi del comunismo in Russia non ha prodotto con Putin una sorta di “buon selvaggio”, come per molti anni hanno creduto Merkel e Schroder in Germania, Berlusconi e Prodi in Italia. A Pratica di Mare, Putin si è presentato come un agnellino per rientrare nel grande gioco internazionale. Dal 2007 ha gettato la maschera: la crisi drammatica del PCUS ha prodotto un mostro, cioè un dittatore nazionalista che ha l’obiettivo di passare alla storia ricostruendo il Grande Impero Russo e usando tutti i mezzi della Guerra asimmetrica. Nel corso degli anni Putin ha acquisito un controllo di ferro sulla Bielorussia e altri satelliti, e poi ha aggredito l’Ucraina pensando di ricondurla a più miti consigli nel giro di pochi giorni. Un nodo cruciale, questo: dal 2022 ad oggi, l’Ucraina si batte certamente per sé stessa e per la sua libertà, ma anche per l’Occidente e per l’Europa: se Putin sfondasse in Ucraina non si fermerebbe lì.
Le tappe successive sarebbero la Finlandia e i Paesi Baltici. E non è tutto. La Russia di Putin è da tempo connessa con l’Iran, sia per i rifornimenti militari, sia per l’operazione da esso messa in atto di ritorno al Medioriente, come è avvenuto per alcuni anni attraverso il sostegno alla dittatura di Assad. Ha un sapore insieme umoristico e macabro l’ipotesi avanzata da Trump di affidare a Putin la mediazione fra Israele e l’Iran tenendo anche conto della sponda che la Russia può offrire agli Hezbollah proprio dal punto di vista del nucleare. L’altra faccia della medaglia è costituita da Israele e da Netanyahu. A nostro avviso Netanyahu ha commesso dei gravi errori, ma in parte diversi da quelli che gli sono imputati. Prima del 7 Ottobre, Netanyahu ha sottovalutato la minaccia, dando credito alla dissimulazione di Hamas che, mentre preparava le raccapriccianti stragi del 7 Ottobre, faceva credere che il suo terrorismo fosse più mediatico che reale.
Non bisogna mai dimenticare una cosa: che il 7 Ottobre Hamas non ha rivolto il suo attacco terroristico contro l’esercito israeliano, ma contro la popolazione civile, contro quei Kibbutz che erano la punta più avanzata di sostegno all’ipotesi “Due popoli, due Stati”. Subito dopo il 7 Ottobre, di conseguenza, Netanyahu ha fatto quello che avrebbe dovuto fare qualunque governo israeliano: una guerra per riconquistare la deterrenza messa in crisi. Una guerra, non un genocidio. Che è cosa totalmente diversa. Inoltre, durante questi mesi, Hamas si è servita in modo sistematico dei palestinesi come scudi umani e come operazione mediatica perfettamente riuscita. Da un paio di mesi a questa parte, però, Netanyahu ha forzato la mano sul piano militare e provando a controllare la filiera degli aiuti, inesorabilmente rallentati. Un discorso del tutto diverso riguarda lo scontro militare apertosi adesso nei confronti dell’Iran. Inutile nascondersi dietro a un dito.
L’Iran è la forza statuale che nel corso di tutti questi anni ha sostenuto il terrorismo di Hamas e quello di Hezbollah. E il campanello di allarme, suonato dall’Autorità di controllo sul nucleare, ha avvertito che l’Iran stava barando su quel terreno. Dunque l’attacco di Israele all’Iran – volto a neutralizzare tutto ciò che può portare all’acquisizione della bomba nucleare da parte del regime, che è la quintessenza del fondamentalismo terrorista – è incontestabile. Detto ciò, bisogna avere piena consapevolezza che l’Ucraina e Israele, al di là di mille differenze, sono le due facce di una stessa medaglia. Per questo, anche di fronte alle improvvisazioni, agli sbandamenti, alla possibile profonda ambiguità da parte di Trump, è indispensabile che, al di là di normali differenziazioni politiche, Stati come l’Italia, la Germania, la Francia, la Polonia e i Paesi Baltici, abbiano fra di loro una solidarietà di ferro e sostengano in tutti i modi possibili sia l’Ucraina sia Israele.
© Riproduzione riservata