La democrazia è il peggior sistema salvo tutti gli altri. Lo disse Churchill, ed è ancora vero. Ma non è stata la democrazia a garantire all’Europa 80 anni di pace. È stato l’articolo 5 del Trattato Nato firmato nel 1949. Quello che prescrive di considerare un attacco armato contro uno Stato membro come attacco diretto a tutte le parti. Negli ultimi tre decenni, l’estensione di questa norma non si è ridotta: si è allargata. Esattamente come il perimetro dei Paesi aderenti. Ed è arrivata a comprendere anche gli atti di terrorismo.

In una parola di sette lettere buttata lì durante un’intervista, Donald Trump l’ha polverizzata. In caso di attacco a un Paese alleato, cosa farebbero gli Usa? «Dipende», è stata la risposta. Poi, nel consueto stile trumpiano, sono fioccate le precisazioni e le pacche sulle spalle degli Alleati. Sono miei amici, no? E finché lo sono, li difenderò. Questo è ad oggi il quadro della solidarietà delle democrazie. Non regole condivise ma legge del «vediamo come ti comporti». Non adesione a valori solidi ma a una Nato «à la carte». Nel frattempo, il segretario dell’Alleanza, Rutte, prova a blandire il presidente Usa con un messaggio privato che il Corriere della Sera non esista a definire «untuoso». E quando Trump lo posta sul suo social, l’effetto è spettacolare. Conferma come sia inutile inseguire chi ha deciso che per lui non ci sono terze vie: o sei un inutile peso o sei un utile idiota.

Dietro al nuovo strappo di Donald c’è molto più di uno degli assiomi del Make America Great Again. Questo slogan ha fatto pensare a un ritorno dell’antica pulsione americana all’isolazionismo, interrotta nel secolo scorso per evidenti vantaggi di supremazia mondiale. Dietro l’apparente piglio ondivago e ubriacheggiante, si coglie invece il più marcato interventismo che si possa immaginare. Solo che è l’interventismo del più forte. Non a caso, subito dopo l’uscita sull’articolo 5, Trump ha posto il veto su ogni cenno Nato all’aggressione russa in Ucraina, e ha auspicato un suo accordo con Putin. Suo, non dell’Alleanza. Il via libera russo all’intervento in Iran ha un costo. Oggi può essere l’Ucraina, domani altri Paesi dell’Est, dopodomani chissà. E intanto la Cina, prudente con Trump persino nella disfida dei dazi, affila le unghie su Taiwan.

Ormai è difficile fingere di non vedere. Finora la nostra sicurezza è stata garantita da due sole cose: l’eroismo degli ucraini e la ferma solidarietà europea, con in testa Regno Unito e Francia, e l’Italia meno esposta ma comunque coerente. Non dimentichiamo che solo quattro mesi fa, Giorgia Meloni proponeva di estendere l’articolo 5 a Kyiv. A questo fronte si è di recente unita la Germania di Merz, e non è certo un dato trascurabile. Procedere in modo ancora più spedito non è oggi una scelta fra tante, ma un obbligo morale. Se come europei lo faremo, un giorno non lontano dovremo ringraziare Trump per la pace e la libertà che avremo imparato a difendere da soli.