Lo spunto
Stipendi bassi e iniqui: la soluzione non è il salario minimo

“Tante famiglie non reggono l’aumento del costo della vita. I salari inadeguati sono un grande problema per l’Italia. Incidono anche sul preoccupante calo demografico, perché i giovani incontrano difficoltà a progettare con solidità il proprio futuro”. La diagnosi del Paese è impressa nelle parole pronunciate dal Presidente Mattarella, alla vigilia del 1° maggio, durante la sua visita in un’azienda farmaceutica di Latina.
Come evidenziato dal rapporto 2024-25 dell’OIL ripreso dal Presidente, tra gli Stati del G20, l’Italia ha subito la perdita più marcata di potere d’acquisto dal 2008 a oggi (-8,7%). Negli ultimi due anni, la nostra produttività è cresciuta più di quanto non abbiano fatto le retribuzioni. Ma per garantire che a un aumento del primo dato corrisponda un incremento del secondo, è necessario un cambiamento da parte delle istituzioni del mercato, adottando un approccio per la determinazione delle retribuzioni che tenga conto dei costi a carico delle famiglie italiane nelle realtà in cui queste vivono. Stabilire un salario minimo per tutti, alla luce dell’estrema eterogeneità del nostro Paese, si delinea come una soluzione iniqua.
La soluzione non è il salario minimo
Lo dimostra l’esempio di Bologna, dove la soglia di povertà assoluta è stata stimata a 9,15 euro l’ora da una ricercatrice in diritto del lavoro dell’Università di Milano. Un’entrata oraria minima di 9 euro, dunque, porterebbe senza dubbio dei benefici, ma l’asticella, complice il caro vita degli ultimi anni, si è alzata ulteriormente e non è la stessa per tutti. A Firenze, dopo la delibera del Comune, anche la Giunta regionale ha predisposto una proposta di legge per inserire, negli appalti pubblici, un punto premiale per le imprese che garantiranno la retribuzione oraria minima di 9 euro ai propri dipendenti. Lo scorso luglio il Comune di Napoli aveva fatto altrettanto, approvando una delibera che fissava lo stesso trattamento per i lavoratori impegnati in appalti e subappalti stipulati dagli enti comunali. Iniziative importanti nel pubblico, ma sono sufficienti? Gli impiegati nel privato come vengono tutelati? In un panorama di realtà così diverse tra loro, la soluzione può essere rappresentata da un accordo contrattuale che tenga conto dei costi differenti sostenuti dalle singole comunità. La contrattazione collettiva nazionale agisce come una livella e stabilisce le condizioni fondamentali per tutti i lavoratori nei diversi settori, ma non tiene conto delle differenze territoriali reali.
La contrattazione territoriale
La via d’uscita dall’uguaglianza assoluta che genera disuguaglianze può essere quella della contrattazione di secondo livello. Questa, aziendale o territoriale a seconda del contesto produttivo a cui viene applicata, integra il livello nazionale e adatta le sue regole alle realtà locali, in modo flessibile. La contrattazione territoriale, nello specifico, consente alle piccole imprese e ai lavoratori autonomi (come gli artigiani), di adeguare i loro contratti al tenore della vita relativo alla propria area geografica. Una soluzione efficiente per ristabilire un’equità salariale che, né il contratto nazionale, né tantomeno l’approvazione di un salario minimo uguale per tutti, possono riuscire a ripristinare.
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