Con i funerali dello scorso sabato 26 aprile, è calato il sipario sul pontificato di Papa Francesco. Da oggi vedremo cosa ci riserverà il Conclave. Tuttavia, tante sono le immagini che resteranno di questi giorni: dalla folla di porporati in piazza San Pietro quasi a evocare un film di Paolo Sorrentino, le file interminabili di fedeli, l’iconica foto di Donald Trump a colloquio con Volodymyr Zelensky – che si spera sia di buon auspicio per quella pace tante volte invocata dal Vaticano.

Sono ancor di più le immagini nella memoria collettiva di un pontificato instancabile del Papa arrivato “dalla fine del mondo”, come subito amò definirsi, fino al centro della romana cristianità e della scena dei leader politici. Però vi è una foto che forse più di altre racconta lo spirito di questo periodo appena concluso e della sua proiezione sociale. Non è uno scatto durante uno dei tanti viaggi istituzionali con la tunica bianca, ma di quando il Papa era solo Jorge Mario Bergoglio, vescovo di Buenos Aires: lo si vede prendere i mezzi pubblici, in mezzo alla gente, normalmente.

In un bell’articolo di qualche anno fa, lo scrittore Davide Piacenza si interrogava perché un politico su un bus facesse notizia solo in Italia. Erano i tempi dell’iconica foto di Roberto Fico, che si recava alla Camera dei deputati nel suo primo giorno da neo-eletto presidente a bordo di un bus. L’esponente pentastellato è rimasto sostanzialmente l’unico, nella storia recente del Paese, a mostrare sensibilità su un tema che invece in altre nazioni è dato per scontato. Sia nel resto d’Europa, dove le politiche verso il trasporto pubblico sono sicuramente più sviluppate di quelle italiane, che in alcune regioni del Sud America – subcontinente che ha dato i natali proprio a Papa Bergoglio. Si pensi a quanto avvenuto in Colombia, con il sistema di trasporto di Medellín (di cui si trattò su queste pagine il 29 agosto 2024), o di Bogotà. Casi portati a esempio in diversi contesti accademici, analizzando anche i comportamenti degli amministratori perché è sempre la politica a disporre e programmare la vita delle comunità. A tal proposito, è nota una frase di Enrique Peñalosa, due volte sindaco della Capitale colombiana: “Una società è sviluppata non quando i poveri guidano un’auto, ma quando i ricchi prendono il trasporto pubblico”.

Un rovesciamento di prospettiva rispetto alla cultura nordamericana, da sempre incentrata sull’auto e la mobilità privata, ma anche di quella italiana nonostante le radici fortemente cattoliche del nostro Paese, che dovrebbero comportare una maggiore attenzione all’equità sociale. Di recente, la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile ha lanciato il primo laboratorio sulla povertà trasportistica. La mobilità privata pesa infatti sulle tasche delle famiglie e dei lavoratori. Un’efficiente rete di collegamenti è invece un fattore di sviluppo delle società e dell’economia, concetto che fa fatica a entrare nella mentalità nostrana.

Non stupisce dunque scoprire che l’Italia presenti uno dei tassi di motorizzazione più alti nell’Unione europea, con circa 694 auto per 1.000 abitanti, contro una media Ue di 571 vetture. Del resto, da molti nostri concittadini i mezzi pubblici sono definiti in modo sprezzante “sposta poveri”. Chissà cosa avrebbe pensato di queste frasi il vescovo Bergoglio, seduto in un affollato vagone del metrò di Buenos Aires, con destinazione inconsapevole al soglio pontificio di Roma.

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Roberto Calise (Napoli, 1987) è il responsabile delle relazioni istituzionali di una multinazionale di trasporto passeggeri su gomma. In precedenza, ha lavorato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, al dipartimento studi della Commissione Trasporti del Parlamento Europeo, e come collaboratore parlamentare in Commissione Trasporti alla Camera dei Deputati. Da giornalista collabora con diverse testate ed è stato inviato al G7 dei Trasporti di Cagliari nel 2017, al G20 dell'Energia e dell'Ambiente di Napoli nel 2021, e nuovamente al G7 dei Trasporti, questa volta a Milano, nel 2024.