Esteri
Putin e lo show nella Piazza Rossa, gli amici leader presenti e l’assenza tattica di Orbán: ma lo zar ha occhi solo per XI Jinping
Il primo ministro slovacco Fico allo show della Piazza Rossa. La presenza del serbo Vučić irrita Bruxelles: “Difficile l’adesione all’Unione”. Il leader ungherese opta per l’assenza tattica. Ma a Putin serve solo Xi

Quanti amici ha Putin? La domanda nasce sulla falsariga di quella che si faceva Stalin: “Quante divisioni ha il Papa?”. Negli ultimi giorni, Piazza San Pietro e la Piazza Rossa hanno fatto da palcoscenico a due grandi manifestazioni pubbliche. Oggi i destini della cristianità appaiono più chiari. Al contrario, il futuro del regime putiniano dipende molto dalle sue buone relazioni. Ad assistere all’epica sovietica in chiave 4.0, ieri, all’ombra del mausoleo di Lenin, la presenza del primo ministro slovacco, Robert Fico, e del presidente serbo, Aleksandar Vučić, è quella che ha provocato i giudizi più severi di Bruxelles.
«Chi ama la libertà non sta con Putin», ha commentato la numero uno della diplomazia Ue, Kaja Kallas. «Sarà molto difficile sostenere un avanzamento rapido della Serbia nel processo di adesione all’Unione». Gli ha fatto eco il relatore del Parlamento europeo per il Paese, Tonino Picula. Che, essendo croato, non aspettava altro se non tirare una stoccata a Belgrado. A sua volta, l’assenza dell’ungherese Orbán potrebbe essere interpretata come una mossa tattica. «Meglio non esagerare». Per il leader sovranista, membro della Nato, una gita a Mosca sarebbe passata come inopportuna. Visti i buoni rapporti che ha con Trump. Detto questo, su chi può davvero contare Putin in Europa? Su alcuni Paesi del vecchio Patto di Varsavia che, senza offese, hanno un peso specifico ridotto nell’Ue. Ma i cui veti sono dirimenti nel bloccare qualsiasi progetto.
Prima di partire per Mosca, Fico aveva rigettato la proposta di Bruxelles di bloccare le forniture di gas russo. Mentre, proprio ieri, Orbán assicurava che, in nessun caso, l’Ungheria sosterrà l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione. In Europa, quindi, Putin può vantare una minoranza di blocco. Che è anche il potenziale nucleo di un’alleanza di governi più allargata. Vedi Romania e Polonia. Austria e Slovacchia guardano anch’esse a Est, ma a una distanza di sicurezza da Mosca. Viene da chiedersi quanto ce la siamo andata a cercare. Nel 2022, allo scoppio della guerra, si dibatteva sulla ragione o meno di Putin di temere la Nato alle porte di casa. Oggi è il contrario. L’influenza del regime è penetrata nel fluido panorama politico europeo. Se prima governi e partiti politici esprimevano un senso di fascinazione per il Cremlino, oggi è diffuso un desiderio di appeasement. Tre anni di conflitto non si possono nascondere. Con i loro orrori. Quindi, chi insiste a voler parlare con Putin lo fa non perché ne subisce lo charme – un culto del capo come ai tempi del Pcus – ma perché è meglio non farlo arrabbiare.
Certo, il 9 maggio è da sempre uno show off di Santa Madre Russia. Ovvero l’affermazione di come l’Urss ci abbia salvato dal nazifascismo. Occhio però a come si legge la storia. Per Mosca, questa data non celebra la fine della Seconda guerra mondiale, bensì la vittoria dell’Unione sovietica nella grande guerra patriottica. È diverso. Da una parte abbiamo la pace ritrovata. Dall’altra, il primato di un’ideologia. Che poi quello sconfitto nel 1945 fosse Hitler fa piacere a tutti. Tuttavia, andando oltre la retorica, quello di ieri non è stato un assolo di Putin. Presa per buona la nostalgia dei padri eroi a Stalingrado e delle nuove generazioni che devono schiacciare l’antisemitismo in Ucraina (sic!), il leader del Cremlino ha sentito il bisogno di presentarsi con a fianco l’amico più forte.
Xi Jinping ha goduto della stessa visibilità del padrone di casa. Mosca si è tirata a lucido per ospitare il potente alleato cinese, senza il quale è difficile giocare sui tanti tavoli della politica internazionale. Una guerra, il mercato dell’energia, i Brics, un interlocutore Usa del tutto inaffidabile… La Russia ha bisogno della Cina per star dietro a così tanti dossier e confermare che, oltre alla parata della vittoria, c’è ancora una potenza nucleare in grado non solo di giocare nelle più acute crisi internazionali, ma anche di concluderle. Meglio se con il minor numero di perdite.
© Riproduzione riservata