Giorgia Meloni ha un evidente irrisolvibile problema: non può seguire Salvini nel sostegno sperticato a Trump perché quasi tutto quello che vuole fare il Presidente degli Stati Uniti va contro gli interessi italiani (“della nazione” per dirla come parla lei). Non può voltare le spalle a questo rapporto con ciò che ne consegue perché, ammesso lo volesse, tradirebbe una parte importante del suo elettorato nutrito a pane e odio europeo che vedrebbe come fumo negli occhi il ritorno di Roma nel solco draghiano franco-tedesco (soprattutto franco) oggi anche britannico-polacco. Forse teme anche che un badogliano netto cambio di campo esporrebbe il paese alla rappresaglia trumpiana e lei alla guerriglia salviniana con ripercussioni sul suo governo.

Italia, Paese “estero-flesso”

Ma il problema parte da molto più lontano e ha a che fare con il Paese in cui vivono la premier e tutti i sovranisti italiani. Per loro somma sfortuna, l’Italia è un paese “estero-flesso”, i cui più vitali interessi sono nell’avere mercati aperti. Notoriamente lo Stivale è dagli anni 50 , non a caso il tornante più significativo della sua storie economica, quando il boom economico incontrò felicemente il mercato comune dei trattati di Roma, un grande Paese manifatturiero ed esportatore -secondo in Europa dopo la Germania, sesto al mondo per il Rapporto ICE 2023/2024-, la cui ricchezza, il suo PIL, dipende per un terzo proprio dal commercio estero (623 miliardi nel 2024), in particolare da quello nel continente europeo che ne vale il 56% (dato 2023).

Il problema delle ideologie

Dura predicare autarchia come da anni la destra italiana si sente in dovere culturale di fare, con tanto di ministero della Sovranità alimentare a corollario, se non a rischio di rimanere vittima della più perfida delle massime di Oscar Wilde, che ammoniva a stare attenti a ciò che si desidera, dal momento che gli Dei puniscono gli uomini realizzando i loro desideri. In effetti gli Dei potrebbero esaudire i tuoi desideri e mandare sulla terra un Trump. Ma anche tanti altri leader di cui pullula l’orizzonte politico che tendono a erigere barriere sul proprio mercato nazionale, come da manuale del sovranismo, danneggiando inevitabilmente il tuo più potente motore economico: l’export. Sufficiente ricordare le dure battaglie a destra in opposizione al CETA (Trattato di libero scambio Canada-UE del 2017) o le barricate di quello stesso periodo quando si ipotizzo per due anni di sospendere i dazi europei verso la Tunisia per 35.000 tonnellate di olio di oliva in un mercato mondiale da 3 miliardi di Kg e produzione italiana non sufficiente neanche a coprire i fabbisogni nazionali. L’idea puerile è sempre quella: avere mercati aperti in una sola direzione. Che ogni azione non chiami una reazione nel mondo sensibile.

È il problema di tutte le ideologie e del loro complesso rapporto con la realtà. Se questa entra in contrasto con il verbo identitario, vale la regola dell’uomo con il fucile che incontra l’uomo con la pistola di leoniana memoria, con ciò che ne consegue. Sono sempre gli occhiali delle categorie politiche originarie, dell’Europa delle nazioni, che guidano l’altro evidente divorzio dalla realtà e dagli interessi nazionali da parte del partito della premier. Non solo perché chiunque rifletta in buona fede sulla formula ne vede tutta la sua palmare inconsistenza logica. Se ci sono le nazioni, non c’è l’Europa. Se ci fosse l’Europa, ai tavoli internazionali che contano, non ci sarebbero le nazioni in ordine sparso. Ma anche perché, come sarà evidente alla stessa Presidente del Consiglio, “interesse nazionale” è stare con le avanguardie del processo integrativo, con Paesi del calibro europeo di Germania e Francia, e non con Ungheria o Slovacchia, con ciò che ne consegue in termini di rischi di marginalizzazione.

Il futuro

Queste implicazioni hanno il sapore dell’ovvio, ma contrastano con la narrativa politica che ha fatto la fortuna del partito di maggioranza. Il maggiore pragmatismo delle ultime posizioni del governo italiano nei rapporti con Francia e Germania, con la prima, in particolare, per una evidente sovrapposizione senza residui di interessi in molti dossiers, fanno tuttavia pensare a una riflessione in corso e a una sorta di armistizio tra quella narrativa ed i detti interessi. L’auspicio è, però, il passaggio da un armistizio ad una pace definitiva. Ma per questa serve una riflessione politica che, in nome di quegli interessi, aggiorni lo story telling su mercato ed Europa, con il partito della Premier che acceleri la transizione verso una destra meno statolatrica, repubblicana ed europea. Perderà qualcuno per strada ma, rebus sic stantibus, potrebbe governare per i prossimi cinquant’anni.

Salvatore Zannino

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