Caro direttore, ieri sul Suo giornale, l’amico Paolo Cirino Pomicino ha criticato il “premierato” in un articolo dal titolo “Casellati e la scusa dei governi instabili”, nel quale ha contestato le motivazioni su cui si fonda la riforma costituzionale.

Nel pieno rispetto della libertà d’espressione, non posso non far presente che al sacrosanto diritto di dissentire bisognerebbe accompagnare sempre la corretta citazione delle mie argomentazioni.

L’articolo in questione contiene invece una palese inesattezza laddove sostiene che secondo me “i governi in crisi aumentano il debito pubblico”.

Non ho mai fatto tale affermazione ma, citando uno studio dell’economista Marco Fortis, ho fatto notare che “negli ultimi 10 anni gli italiani hanno pagato 265 miliardi di interessi in più sul debito pubblico a causa dell’alternanza di governi diversi che hanno generato aumenti dello spread”.

L’aumento del debito pubblico è dunque una inconfutabile conseguenza indiretta, e non diretta, dell’instabilità politica.

Quanto alla considerazione dell’onorevole Pomicino sul fatto che “un governo in crisi non può spendere nulla se non per mantenere lo “statu quo” dei servizi che lo Stato offre ai suoi cittadini perché è obbligato a garantire solo l’ordinaria amministrazione”, corre ancora l’obbligo di precisare che se ciò corrisponde al vero, è altrettanto vero, sempre stando alle statistiche, che ad ogni avvicendamento di esecutivo corrispondono circa 5 mesi di fermo per il passaggio di consegne e la formazione degli staff prima dell’inizio delle attività di governo vere e proprie.

Dunque: tempi morti nei quali appalti, leggi e decreti attuativi si bloccano e l’Italia resta ferma mentre gli altri Paesi corrono.

Il che significa che, in un sistema instabile come il nostro, un governo in crisi, seppur fermo, non smette di generare conseguenze negative per il Paese. Anzi.

E infine, ultima ma non meno importante precisazione è quella che non posso esimermi dal fare rispetto al presunto “svilimento” dei poteri del Parlamento. Consapevole del fatto che le Camere siano e debbano restare “il cuore pulsante di ogni democrazia”, ho lasciato intatta la centralità del Parlamento, il cui potere politicamente più significativo è quello di dare e revocare la fiducia al Presidente del Consiglio, ancorché eletto dal popolo. Altro che deriva autoritaria! Il Presidente eletto non è “solo al comando”, perché può restare in carica esclusivamente se gode del consenso del suo partito e degli altri partiti della maggioranza. All’evidenza il parlamentarismo, indicato come modello dall’on. Pomicino, è una esaltazione di giochi politici “liberi” di costruire indirizzi del tutto divergenti da quelli espressi dal popolo sovrano.

Bando alla indignazione e buona riflessione!

 

Elisabetta Casellati

Autore

Ministro per le Riforme Istituzionali e la Semplificazione normativa