Daniel Pipes, politologo, presidente e fondatore del Think Thank, Middle East Forum di Philadelphia, è oggi considerato tra i più autorevoli esperti di Medioriente. Lo abbiamo intervistato in merito alla guerra in corso tra Israele e Iran.

A una settimana dall’inizio delle ostilità tra Israele e Iran, quale è la tua valutazione della situazione?
«Gli attuali successi di Israele in ambito di intelligence e campagna militare sono paragonabili a quelli della Guerra dei Sei Giorni del 1967. Certo, questa volta le sue forze non hanno sconfitto tre eserciti in meno di una settimana, ma si trattò di un’operazione relativamente semplice rispetto a questa, che ha richiesto anni e molti, moltissimi livelli di preparazione. L’attacco di Israele all’Iran probabilmente stabilirà il modello per tutte le future guerre tra pari per molti anni a venire. Tra l’altro, Israele domina in modo così completo il campo di battaglia che parte della burocrazia iraniana si è rifugiata nell’onirismo. Il portavoce militare, il tenente colonnello Iman Tajik, ha annunciato che l’Iran ha “ottenuto il controllo completo dei cieli dei territori occupati [cioè Israele], e la popolazione è diventata completamente indifesa contro gli attacchi missilistici iraniani”. Persino la Guida Suprema Ali Khamenei ha affermato che “la risposta dell’Iran ha indebolito l’entità sionista”».

Israele ha l’obiettivo di distruggere il programma nucleare iraniano, ma le sue azioni, come l’interruzione del servizio televisivo, mirano a spianare la strada agli iraniani per rovesciare la Repubblica Islamica. È un obiettivo realistico?
«Data l’incertezza di Gerusalemme sulla sua capacità di distruggere tutte le infrastrutture nucleari dell’Iran, aspira anche a facilitare un’insurrezione generale che rovesci la Repubblica Islamica, innescando un’inversione di tendenza rispetto al 1978-79. Finora, questo non sembra accadere, poiché le preoccupazioni per il sostentamento e la sicurezza, unite al timore delle radiazioni, sembrano tenere la gente lontana dalle strade. Ma la situazione potrebbe cambiare; la prossima settimana dovrebbe essere decisiva».

Se il regime crollasse, cosa ti aspetti che accada in Iran?
«La stragrande maggioranza degli iraniani, forse l’85%, disprezza il proprio governo islamista, quindi l’islamismo sparirà. Ma cancellare un’ideologia non garantisce un percorso verso la democrazia; l’Iran seguirà più il modello ucraino o quello russo? L’eredità del regime totalitario rende difficile il ritorno alla normalità, quindi sono pessimista. Detto questo, la cosa più importante è liberarsi dalla tirannia; proprio come nell’Iraq post-Saddam Hussein, meglio l’anarchia che Khamenei».

Quali conseguenze esterne prevedi da un eventuale crollo del regime?
«Il crollo dell’architettura khomeinista avrà due importanti ripercussioni internazionali. In primo luogo, eliminerà l’Iran dal ruolo di grande potenza revanscista del Medio Oriente, cambiando e migliorando profondamente la politica della regione. In secondo luogo, accelererà ulteriormente il declino dell’islamismo in tutto il mondo, un processo già in atto da oltre un decennio.
Se la rivoluzione iraniana del 1978-79 diede il via all’islamismo, la controrivoluzione di quasi mezzo secolo dopo ne accelererà il declino».

La guerra tra Hamas e Israele continua e a breve saranno due anni dal suo inizio. Come influiranno su di essa gli sviluppi in Iran?
«La disastrosa prestazione militare dell’Iran peserà pesantemente su Hamas, sia in termini di morale che di logistica. Due anni fa Hamas poteva sentirsi parte di una squadra vincente, cosa che oggi gli è praticamente impossibile credere».

Sei stato molto critico nei confronti della gestione israeliana della guerra a Gaza. Lo sei ancora?
«Sì, e a maggior ragione dopo la brillante campagna in Iran. In pochi giorni, le forze israeliane hanno sopraffatto un paese di 90 milioni di abitanti. Eppure eccoci qui, a 625 giorni dall’inizio della guerra con Hamas, e Israele non ha ancora capito come sconfiggere un gruppo di delinquenti. Il primo risultato è tanto superbo quanto il secondo è penoso».

Trump è notoriamente volubile e cambia idea rapidamente. Eppure, la rapidità e la portata del suo cambio di atteggiamento nei confronti della guerra di Israele contro le infrastrutture nucleari iraniane lasciano attoniti. Come è potuto accadere e dove porterà?
«La stampa americana è piena di analisi proprio su questo cambiamento. Tre fattori sembrano essere quelli chiave: un mix di ostinazione iraniana nell’arricchire l’uranio e minacce (“danni irreparabili”) agli Stati Uniti, il successo militare di Israele e la campagna israeliana e filo-israeliana per ingraziarsi Trump attribuendogli un merito sostanziale per i successi di Israele. L’analista israeliano Lazar Berman osserva che “unirsi all’operazione ora, dopo che i generali iraniani sono morti e le sue difese aeree sono state annientate, offre a Trump l’opportunità di prendersi il merito di una campagna storicamente audace che potrebbe benissimo cambiare il corso del Medio Oriente”. Si noti come Trump abbia inaspettatamente confuso Israele e Stati Uniti quando ha dichiarato: “Adesso abbiamo il controllo completo e totale dei cieli sopra l’Iran”».

Dal 7 ottobre 2023, Israele è demonizzato più che mai. La guerra contro l’Iran migliorerà o peggiorerà questa tendenza?
«Migliorerà la situazione di Israele, per due motivi principali. In primo luogo, l’ostilità dei sunniti e della sinistra verso Israele deriva quasi esclusivamente dal loro disappunto per le relazioni di Israele con i palestinesi. Al contrario, l’Iran non ha alcuna importanza per loro; anzi, i sunniti sono lieti di vederlo represso. In secondo luogo, il mondo ama i vincitori e Israele ha dimostrato di avere ottenuto un successo spettacolare. Come osserva l’analista francese Michel Gurfinkiel, il successo militare di Israele ha implicazioni positive per le sue relazioni con le due grandi potenze (Stati Uniti e Cina), con le potenze internazionali (Europa, Russia e India) e con le potenze regionali (Turchia, Egitto e Arabia Saudita). Negli ultimi anni, queste ultime avevano aderito “a un concetto chiave iraniano: il duplice declino di America e Israele. Sono sconvolti nell’apprendere di essersi sbagliati”».

Niram Ferretti

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