La nomina del nuovo capo del dap
Perché Carlo Renoldi è stato cacciato dal Dap

Carlo Renoldi, un mite ed esperto giudice di Sorveglianza, reo di essere fedelmente appassionato alla idea costituzionale della pena come strumento di recupero sociale del reo, è stato rimosso da Direttore del Dap dopo appena nove mesi di svolgimento del delicato incarico. Sin dalla sua nomina, voluta fortissimamente dalla Ministra Cartabia, egli fu immediatamente fatto oggetto di sconsiderati attacchi politici dalla destra parlamentare e dai grillini. Lo accusavano di non essere allineato con l’idea idolatrica del regime detentivo speciale del 41 bis, una impurità culturale che lo avrebbe perciò reso inadeguato ed anzi pericolosamente lassista ed indulgente verso i detenuti per reati di mafia.
La politica italiana, soprattutto in tema di giustizia e di carcere, si ciba preferibilmente di simili, grossolane imbecillità, che però funzionano mediaticamente. E quindi, una volta acquisito lo stigma, non puoi più liberartene. Renoldi era l’uomo giusto al posto giusto, essendo un giudice di Sorveglianza, perciò conoscitore accurato delle dinamiche e delle criticità, anche le più minute, che costellano la vita del pianeta carcere e più in generale la fase di esecuzione della pena. Un know-how che, ovviamente, non ha -non può avere- un Pubblico Ministero, che al più si occupa di mandare le persone in carcere, non del carcere. Ed invece puntualmente la regola adottata quasi senza eccezione dalla nostra politica, di destra e di sinistra, è quella di nominare al Dap pubblici ministeri, possibilmente qualificati da meriti professionali antimafia. Anche questa, a ben vedere, è una bizzarria, visto che nel pianeta carcere la popolazione legata a consorterie mafiose ed a reati di mafia rappresenta una fetta del tutto minoritaria, ed ancor più minoritaria quella ristretta in regime di 41 bis. Potenza dei simboli e del conformismo politico.
Comunque, questo atto di spoil-system era largamente annunciato, e lo stesso Ministro Nordio (che sono certissimo non ne condivida le ragioni) ha dovuto adeguarsi alla volontà politica della sua maggioranza. Salutiamo con rammarico Renoldi, e diamo il doveroso benvenuto a Giovanni Russo, Pubblico Ministero della Direzione Nazionale Antimafia, così i furori iconoclasti dei “garantisti sul processo e giustizialisti sulla pena” si saranno finalmente placati. E qui però comincia il bello. Perché una scelta così brusca (dopo soli nove mesi!) e tecnicamente immotivata (sebbene legittima) necessariamente dovrà tradursi in atti significativi, in una concreta idea progettuale del carcere e della esecuzione della pena che sappia segnare la differenza dalla gestione interrotta, così giustificandosene la ragione. E cosa dovrà fare mai Russo, mi chiedo, di così significativamente diverso da Renoldi, di fronte alla implacabilità terrificante dei suicidi in carcere (siamo ad 80 dall’inizio dell’anno)? E cosa, di fronte al sovraffollamento, alla fatiscenza delle strutture, alle condizioni di lavoro durissime della polizia penitenziaria, insomma alla nostra perdurante condizione di “fuori legge” rispetto alle censure ripetutamente espresse dalla giurisprudenza sovranazionale? Cosa di fronte al dilagare della droga e dei telefoni cellulari nelle nostre carceri? Ed anche con riguardo al regime del 41 bis, suvvia!, cosa si potrà mai aggravare rispetto al già spaventoso quadro regolamentare attuale, già indegno di una società civile?
Staremo a vedere, ma senza fare sconti, e senza indulgenze rispetto a questa melassa conformista e sgrammaticata della “certezza della pena” intesa come “certezza del carcere”. Lo sa bene per primo il Ministro Nordio che quello della certezza della pena è un principio di derivazione illuministico-liberale, che non ha nulla a che fare con questa dozzinale filosofia del “buttare la chiave”, cibo da dare in pasto ai social, ma che non è una cosa seria. La soluzione è e rimane la de-carcerizzazione, da perseguire mediante il rafforzamento delle misure alternative alla detenzione intramuraria. È ovvio che le misure alternative devono acquisire -esse si!- effettività, certezza, forza sanzionatoria che oggi è obiettivamente incerta e flebile. Ma lo voleva già la Commissione Giostra, a conclusione degli Stati generali della Esecuzione penale del 2017.
Quando saranno finite queste vacue e futili iniziative di comunicazione politica per simboli e slogan, cerchiamo tutti di rimettere mano a quello straordinario lavoro portato avanti e concluso da avvocati, magistrati, operatori penitenziari, direttori delle carceri. Fatevela, signori della maggioranza (e non solo), mentre vi costringete a spargere fuffa sulla edilizia carceraria sempiternamente prossima a realizzarsi, una chiacchierata con il prof. Glauco Giostra, e date una paziente lettura alle proposte finali di quella formidabile commissione. Così, finalmente, si potrà cominciare seriamente a parlare di carcere, e di soluzioni concrete a questa tragedia, che ora è nella vostra responsabilità. Contenti di aver giubilato Renoldi? Bene. Ora però tocca occuparsene, del carcere; sul serio, non su Facebook o su Twitter; auguri di buon lavoro.
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