L'associazione 7 ottobre cresce ma...
Parisi: “In Italia l’antisemitismo dilaga, gli ebrei non possono sfilare con la kippah e Segre può uscire solo con la scorta”

Stefano Parisi, ideatore con Anita Friedman dell’Associazione Setteottobre, che presiede, è deciso a far crescere – insieme con il Riformista, la battaglia per le ragioni di Israele.
Le ragioni di Israele non sono solo di Israele: sono quelle dell’Europa e del mondo occidentale. Parlano dei nostri valori. Cosa ci vede in questi continui e sempre più aggressivi attacchi a Israele?
«Un attacco che va oltre Israele, all’Occidente e a noi stessi. Quello che più è incredibile è che una parte dell’élite occidentale è violentemente non solo contro Israele ma anche contro gli ebrei della diaspora. Anche se non hanno nulla a che vedere con le scelte del governo israeliano. E il fatto che esista questo ci deve interrogare. Università, direttori dei giornali, mondo dello spettacolo e dello sport fanno fronte comune contro un nemico interno che, siccome non esiste, viene inventato».
Parla del caso Yuval Raphael?
«Quello che è successo a Eurovision è clamoroso e molto eloquente: la giuria non ha votato per la cantante israeliana che però alla fine è stata votata dalla gente. Ormai abbiamo tante prove: esiste una minoranza antisemita – in alcuni casi anche squadrista, basti vedere quello che è successo all’Università di Torino – molto supportata dalle élite. E poi c’è una maggioranza di popolo che crede nella democrazia e nella libertà, però non ha voce».
Da quel maledetto Sette ottobre a oggi, come ha visto cambiare l’opinione pubblica italiana?
«È molto peggiorata. Il 7 ottobre è esploso l’antisemitismo che c’era già, in Italia, ma era nascosto dalla retorica del Giorno della memoria. Perché gli ebrei morti nella Shoah vanno bene, quelli vivi, che reagiscono, che hanno fatto di un deserto un paese moderno, democratico, tecnologico, sono odiati. Questo rinvia alle radici dell’invidia, dell’odio verso noi stessi, dell’Occidente accusato di colonialismo. È l’invidia verso chi ha successo. Chi non trova nell’Occidente democratico una sua dimensione».
L’odio di sé che una parte della sinistra non nasconde…
«Assolutamente, anzi: lo coltiva con dei cortocircuiti incredibili. La sinistra che in Europa combatte per le donne e gli omosessuali, poi giustifica Hamas che chiude in casa le donne e giustizia gli omosessuali. Quel cortocircuito è una contraddizione talmente evidente da mostrare come sia forte, preponderante su tutto l’odio per gli ebrei. Che è poi l’odio verso noi stessi».
Voi fate un lavoro di informazione corretta, di puntualizzazione costante. Vi sentite come quelli che tentano di svuotare il mare con un secchio?
«Il 7 ottobre viene negato, nella memoria collettiva. Gli stupri, le stragi, le violenze efferate sui bambini vengono cancellati a forza. La prova è che una sopravvissuta di quella strage, Yuval Raphael, che è uscita viva da quella infernale carneficina fingendosi morta tra i tanti cadaveri, in questi giorni è oggetto di insulti, di fischi e di minacce. Le televisioni spagnola e belga hanno detto che non doveva partecipare, che andava oscurata. Non so se ci rendiamo conto dell’abisso in cui sta cadendo l’umanità, senza accorgersene».
Le università, che dovrebbero essere la culla del dibattito, del confronto, della crescita culturale, si scoprono l’esatto opposto. Vivai di antisemitismo violento.
«Un paradosso, perché lo spirito critico, il rispetto delle idee, la ricerca dialettica della verità oggi è cancellata dalla pratica di un antisemitismo sempre più arrogante, supportato non solo da gruppetti di minoranza ma dai vertici delle università stesse. E tutto questo con la grande stampa e i grandi media che non dicono una parola, salvo andare in piazza il 25 aprile a dirsi antifascisti. Pronti a sputare e a spintonare – lo abbiamo visto all’Università di Torino lo scorso 15 maggio – gli ebrei che cercano di parlare».
E non va bene neanche il 25 aprile, per gli ebrei. Perché la Brigata Ebraica, che diede un contributo importante alla Liberazione, oggi può sfilare solo se scortata dagli agenti in tenuta antisommossa.
«Gli ebrei non possono più sfilare in piazza con la bandiera della Brigata Ebraica, viene sconsigliato loro di mostrarsi in pubblico in quanto ebrei. Non possono promuovere iniziative o convegni con la Stella di Davide. Non possono circolare a Roma o a Milano con la kippah in testa, o con la Stella di Davide al collo: le stesse comunità ebraiche lo sconsigliano caldamente per scongiurare aggressioni. E poi un Paese dove Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, può uscire di casa solo con la scorta, dovrebbe interrogarsi su quanto è profondo il baratro in cui sta precipitando».
Dicono: siamo antisionisti, non antisemiti…
«E che cosa significa, essere antisionisti, se non negare il diritto degli ebrei a organizzarsi, a darsi una identità, un esercito e uno Stato? Essere antisionisti significa essere profondamente antisemiti. Con una ipocrisia in più».
Come se ne può uscire?
«Servirà un lavoro culturale fortissimo e per lunghi anni. Per questo esiste l’Associazione Setteottobre, con i suoi iniziali mille aderenti stiamo dando vita – anche insieme al Riformista – a nuove iniziative pubbliche e stiamo preparando per il prossimo 7 ottobre una grande manifestazione su più giorni. Senza paura. Da Israele, che combatte ogni giorno per la libertà e la democrazia, dobbiamo imparare una lezione».
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