Decisamente non se le sono mandate a dire. Il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, è stato il terzo grande leader europeo, dopo Macron e Meloni, a essere accolto alla Casa Bianca. Il vertice non è andato benissimo. Nessuno si aspettava un idillio come quello con Giorgia. Ma nemmeno un botta e risposta così senza guantoni. Del resto, «Merz è tosto, ma con lui si tratta». Il commento del presidente Usa lascia intendere che a lui piace confrontarsi con chi parla la sua stessa lingua. Sempre che l’inglese elegante e sobrio parlato dal cancelliere – avvocato finanziario e uomo di establishment – sia lo stesso di uno spregiudicato businessman che ha fatto apprezzamenti simili per Putin e Xi Jinping. I preparativi al bilaterale non erano stati dei migliori. Visto lo stravolgimento dell’agenda, da parte del cerimoniale della Casa Bianca che, last minute, aveva deciso di spostare la riunione nello Studio Ovale all’inizio della visita, quindi prima del pranzo di lavoro. I funzionari tedeschi si aspettavano un ordine degli addendi inverso – come da protocollo – in modo da fare del pranzo un’opportunità per risolvere eventuali divergenze in privato prima dell’incontro stampa. Non è andata così. E si è visto.

Due i temi caldi: Ucraina e dazi. Su questi ultimi, Potus si è detto fiducioso di arrivare a «un buon accordo commerciale con la Germania». Aggiungendo però che la palla è in mano all’Europa. Come a dire: non è Berlino a decidere, ma Bruxelles. Peccato però che un vertice Trump-von der Leyen non è per nulla all’orizzonte. La Casa Bianca si guarda bene dal proporlo. L’Ue resta a guardare. Il punto è che la Germania portata a Washington da Merz non ha la manifattura più dinamica della globalizzazione che, nonostante le sue dimensioni, era in grado, fino a pochi anni fa, di tener testa alla Cina e agli Usa. No, è una Germania che vive nell’incertezza. A marzo la produzione industriale tedesca è aumentata del 3% in termini congiunturali. Ma è scesa dello 0,2% su base annua. L’industria automobilistica – manco a dirlo, filiera di riferimento dell’economia nazionale – è arenata in prospettive pessimistiche che tendono a scendere. Secondo l’Istituto economico Ifo, il Business climate index per il settore è sceso a -31,8 punti, contro i -30,7 registrati in aprile. Motivo di queste nubi all’orizzonte proprio i dazi che, l’altro ieri, il Dipartimento del Commercio Usa ha fatto scattare su acciaio e alluminio. Gli Stati Uniti sono il primo mercato in assoluto dell’export tedesco e rappresentano l’11% dell’auto. Berlino è convinta che «i dazi non aiutino nessuno», per riprendere le parole del ministro degli Esteri Wadephul di qualche giorno fa. Né i costruttori in Germania, né i consumatori benestanti americani.

Ben più frizzante la modalità nel trattare il file Ucraina. Preoccupato per come stiano andando le cose e per l’eventuale reazione di Putin ai colpi subiti per mano ucraina, il presidente Usa non ha nascosto l’intenzione di togliersi di mezzo. «Sono come due bambini. Lasciamoli litigare per un po’». Scettico su un cessate il fuoco, ha però minacciato dure sanzioni contro entrambi. Al cinico Trump, ha risposto Merz con altrettanta schiettezza: «Serve maggiore pressione sulla Russia». Cercando di far leva sull’amicizia della sua controparte con il leader del Cremlino. Parole affondate in un muro di gomma, però. «Non sono amico di Putin, abbiamo un buon rapporto», gli ha risposto Trump.

I tedeschi speravano di usare il loro maxi piano per il riarmo come strumento persuasivo affinché gli Usa restassero al tavolo delle trattative. Al contrario, hanno raccolto solo una battuta sagace: «Non sono sicuro che MacArthur apprezzerebbe». Insomma, un pareggio in termini di risultati concreti, una vittoria di misura per la Casa Bianca, che si conferma non essere più il place to be di un tempo per i leader stranieri.

Nota a margine: Merz ha fatto dono a Trump di una raccolta di lettere di immigrati tedeschi: “Notizie dalla Terra della Libertà. Gli immigrati tedeschi scrivono a casa”. Le lettere provengono da contadini, braccianti e domestici del periodo compreso tra il 1830 e il 1900. Un invito alla conoscenza della storia cui ha aggiunto il certificato di nascita del nonno di Trump, Frederick (al secolo) Trumpf, nato in Germania nel 1869 e poi immigrato e naturalizzato americano nel 1885. Un messaggio sibillino per un presidente che ha fatto della lotta agli immigrati un suo marchio di fabbrica. Ancora di mercoledì è la decisione di vietare o limitare i viaggi negli Usa da 19 Paesi, che si aggiunge allo stop ai visti per gli stranieri ad Harvard. Alla malizia di Merz, Trump ha risposto con un colpo basso: «Il D-Day non fu piacevole per voi».