È stato formato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa in un reparto speciale dei carabinieri. Marco Mancini, a lungo a capo del controspionaggio italiano, ai vertici dell’Aise e del Dis, è un profondo conoscitore dello scenario mediorientale, dove ha operato spesso in missioni che naturalmente non ci può raccontare.

Marco Mancini, lei qualche anno fa è stato anche a Gaza. È tra i pochi che, oltre a parlarne, in quei maledetti tunnel c’è anche stato. Che valutazione fa della guerra di Israele al terrorismo?
«Ci sono due guerre. Una viene combattuta ancora da Hamas con 40.000 miliziani armati. Una guerra difficilissima da vincere perché si svolge sottoterra. E in quei maledetti tunnel, sparsi lungo 732 chilometri, le forze armate israeliane, incluse le truppe d’élite, non riescono ancora ad arrivare. Sopra, in superficie, c’è un’altra guerra che invece consente a Tsahal di avanzare sul territorio. Tra mille insidie e scudi umani, inclusi i bambini messi sempre intorno agli arsenali del terrorismo».

La guerra in superficie e quella sotterranea. Due popoli, due strati…
«Due strati ci sono, uno sull’altro, appunto. Per i due Stati, vedremo. Però tutti gli israeliani hanno diritto a vivere in prosperità e sicurezza e tutti i palestinesi, allo stesso modo, a un futuro di pace, liberi dal giogo di Hamas. Abu Mazen, il leader eletto dei palestinesi, ha autorevolmente definito Hamas come “un gruppo terroristico di figli di cani”. Nonostante sia stata neutralizzata tutta la famiglia Sinwar e decapitato l’intero vertice – con l’eliminazione di dieci capi dei terroristi in una singola, recente azione – Hamas ha gioco facile nell’arruolare nuove leve. Mentre Israele sta pagando un prezzo carissimo del quale si parla poco: dall’inizio del conflitto oltre 17.000 soldati israeliani sono stati uccisi e il bilancio dei feriti arriva a 70.000. Senza contare il bilancio degli orrendi massacri del 7 ottobre».

Ci sono vittime anche nel tentativo di esplorare quei tunnel dei terroristi?
«Purtroppo sì. Una unità scelta di undici soldati e soldatesse israeliane ha trovato la morte all’interno di un tunnel a Gaza: sono entrati per qualche decina di metri ma era una trappola. Hamas ha fatto saltare il tunnel alle loro spalle, uccidendoli tutti in un colpo solo. L’IDF sta utilizzando anche i cani molecolari, addestrati a fiutare l’esplosivo nascosto in quelle gallerie. Inutile dire che abbaiano spesso, perché Hamas ha speso milioni e milioni di dollari per i suoi arsenali pronti a saltare in aria».

Anche gli ostaggi del 7 ottobre sono in quelle gallerie sottoterra?
«Ci sono 53 ostaggi nelle mani di Hamas. 18 o forse 19 sono ancora vivi, gli altri sono tutti morti. Tutti nei tunnel. Per finirla con la guerra a Gaza basterebbe un gesto semplice: il rilascio di tutti gli ostaggi. Se Hamas lo fa, finisce la guerra».

Ma non lo faranno perché la pace non conviene ai terroristi, hanno bisogno di portarla avanti a lungo.
«E nonostante questo, il governo israeliano ha liberato 1750 prigionieri riconducibili ad Hamas e a Hezbollah».

Hamas è una organizzazione criminale, le risulta che gestiscano il racket degli aiuti spendendoli come arma di ricatto e di reclutamento?
«È una organizzazione terroristica classificata in tutto il mondo come tale. Per molti, troppi anni ha spadroneggiato sul territorio di Gaza, controllandolo palmo a palmo e imponendo la sua legge: ha espropriato beni e terreni, trattenuto gli aiuti internazionali, taglieggiato il commercio. Hanno ancora un potere molto forte all’interno della Striscia e minacciano chiunque provi a minarlo. Tutti a Gaza li temono, pochi osano ribellarsi apertamente. Anche se una manifestazione contro di loro, per la prima volta, si è vista».

Vertici decapitati, struttura indebolita, diversi arsenali sequestrati. Potrebbero accettare una tregua, se non la pace?
«I “signori della guerra” non sono mai prossimi ad accettare la pace: perderebbero tutto. Ma i civili palestinesi non possono stare più tra l’incudine e il martello: vivere a Gaza, sotto la minaccia di Hamas da un lato e il fuoco di Israele dall’altro, non è più sopportabile. E d’altronde quella Striscia è ormai ridotta a brandelli. Va tutta ricostruita, non solo non ci sono più case ma neanche scuole, strade, infrastrutture energetiche, prospettive di lavoro…»

E quindi?
«La prospettiva di abbandonare la Striscia, fantapolitica fino a pochi mesi fa, si sta facendo sempre più concreta. E in un incontro segreto, tenutosi – credo – in Svizzera, emissari dei servizi americani e russi ne hanno anche parlato tra loro, in queste ultime settimane».

Ci dica di più. Gaza sarebbe in procinto di svuotarsi, di veder emigrare i suoi abitanti?
«Ci sono due milioni di palestinesi esausti, a Gaza. Viene data loro più di una opzione: metà potrebbe andare in Siria – dove Al Jolani ha assicurato a Donald Trump, nel recente incontro avuto a Riad, di essere pronto a prenderli – e metà andrebbero in Libia, dove Haftar ha avuto pieno mandato da Putin di completare le sue operazioni e mettere anche Tripoli sotto controllo. E infatti sta riprendendo la guerriglia tra tribù e milizie, in Libia. A Damasco e a Tripoli servono un milione di migranti ciascuno, parlanti arabo e pronti a lavorare per ricostruire le città in rovina dopo i conflitti interni e un domani a combattere, se serve. I palestinesi in fuga da Gaza dunque fanno gola a entrambi».

Scusi Mancini, lei non è più al vertice dell’intelligence ma ha informazioni di prima mano e di primo livello. Da dove le arrivano?
«Per molti anni, agendo in Medio Oriente e nell’ex blocco sovietico, ho messo in piedi una rete di amicizie interessanti che continuo a sentire. Mi continua a stare a cuore la sicurezza del nostro Paese».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.