Il confronto
L’Ayatollah è come i suoi siti nucleari: molto danneggiato ma non annientato. Il dibattito a L’Ora del Riformista

Alla fine la tregua è stata accettata ma, dopo quella che passerà alla storia come “la guerra dei dodici giorni”, tutti si stanno già chiedendo quanto potrà durare questa nuova sospensione delle ostilità tra Israele e il suo nemico esistenziale (dal 1979). Ascoltando le parti in causa, il copione è sempre lo stesso: tutti vincitori e nessun vinto. Netanyahu ha dichiarato di aver raggiunto i propri obiettivi, mentre il regime di Khamenei, stando alle dichiarazioni iraniane, sembra aver subito la stessa sorte del suo programma nucleare: gravemente danneggiato, ma non ancora annientato anzi, protagonista di una “eroica resistenza”.
Il futuro dell’Iran e del suo eterno conflitto con lo Stato ebraico è stato l’oggetto dell’Ora del Riformista di ieri, dal titolo “Scacco nucleare”. Alla discussione, moderata da Aldo Torchiaro, hanno contribuito Ettore Greco, vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali, Shervin Haravi, giurista e attivista italo-iraniana per i diritti umani, Giampiero Massolo, ambasciatore e Senior advisor dell’Ispi, Stefano Polli, vicedirettore di Ansa dal 2014, Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio di Roma del European council on foreign relations e Ugo Volli, semiologo e filosofo.
È tempo di tregua e l’Iran cercherà di rimettere insieme i pezzi, riprendendo il controllo del potere. Lo farà anche servendosi della paura e delle ritorsioni contro i dissidenti, come ha osservato Haravi: «Gli iraniani stanno riprendendo lentamente la loro vita quotidiana, ma sono animati dalla paura. Dall’inizio della tregua ci sono già state sei esecuzioni. Ci sono gruppi antisommossa, i veicoli vengono perquisiti e i cellulari controllati». Un momento, insomma, in cui il regime change sembra sfumare, come ha spiegato Greco: «L’obiettivo del cambio di regime è stato enunciato ed evocato da Netanyahu, ma non condiviso da gran parte dell’establishment militare e politico. Non si può impostare un’operazione di questo tipo allo scopo di conseguire un cambiamento di regime, senza un’invasione o un controllo sul Paese in oggetto».
In quanto a vincitori e vinti, per Varvelli Il premier israeliano è sicuramente uscito rafforzato dal conflitto: «Netanyahu è stato in grado di trascinare Trump nel confronto diretto con Teheran in quella che si è tradotta in una classica “trappola delle alleanze”. È riuscito a rallentare lo sviluppo del programma nucleare iraniano e ha spostato il focus internazionale da Gaza sull’Iran». Polli è tornato sui molti interrogativi, rimasti dopo questa guerra, in relazione al futuro mediorientale: «Ci sono tante domande ma poche risposte. La questione principale è se la tregua reggerà. Mi fa sperare il modo in cui è finita questa guerra, cioè con un attacco telefonato dell’Iran al Qatar, in cui tutti hanno fatto in tempo a evacuare e non ci sono stati feriti».
All’opposto, invece, la visione di Volli: «L’Iran ha armato, finanziato e addestrato le forze di Hamas, Hezbollah e gli Houthi e ha senza dubbio provocato il 7 ottobre, un episodio di guerra pensato per la distruzione di Israele. Se l’Iran degli Ayatollah avesse l’atomica, sarebbe inattaccabile e devasterebbe lo Stato ebraico». E Massolo ha tratto le conclusioni: «Sulla corsa iraniana al nucleare si è sicuramente guadagnato del tempo. In quanto al regime change, innescarlo in un Paese come l’Iran non è possibile soltanto su via aerea. Ci vogliono delle truppe di terra, ma soprattutto lo devono fare gli iraniani. Quello che succederà, in un momento come questo, sarà sicuramente un riassetto del potere».
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