Diritti e lavoro
La sede vacante della sinistra che cerca aiuto fuori dal palazzo. Un po’ Bergoglio, un po’ Landini: chi tira di più?

Quando parliamo di democrazia dobbiamo distinguere tra la macchina e i macchinisti. La macchina è buona. Anzi, è la migliore macchina che sia mai stata inventata per consentire ai cittadini di essere liberi e di non essere sottoposti alla volontà tirannica e arbitraria di altri cittadini. Poi ci sono i macchinisti, cioè i governi, i partiti, le associazioni d’interesse, più in generale le classi dirigenti di un Paese o di una comunità di Paesi. E oggi non sono un granché.
Neobonapartismo?
Molti si chiedono se sia in corso un cambiamento di regime negli Stati Uniti. Se con questa espressione si intende la crisi o addirittura il crollo del suo sistema costituzionale, siamo fuori strada. Dalla cruda ed estrema forzatura dei poteri presidenziali si può concludere che l’America stia scivolando verso una sorta di “neobonapartismo”? Non credo, anche perché il trumpismo è per sua natura un fenomeno transitorio. Senza dimenticare, però, che studiosi del calibro di Tocqueville, Weber e Franz Neumann hanno osservato che forme di autoritarismo più o meno “mite” spesso nascono e si sviluppano in contesti democratici.
Per ora, il tycoon newyorkese è una sorta di “re Mida” al contrario, e tutto ciò che tocca si trasforma in oro per i suoi avversari. Non solo in Canada e Australia, ma perfino in Europa. Il piano di riarmo, l’elezione di Merz in Germania, il “gruppo di volenterosi” guidato da Starmer e Macron, la posizione sui dazi d’Oltreoceano, sono primi segnali di risveglio da un lungo torpore. Certo, l’Ue resta un campo aperto alle scorribande di forze nazionalpopuliste, ma la sinistra europea e mondiale (inclusi i dem di Washington) comincia a prendere coscienza della partita che si sta giocando sullo scacchiere internazionale. Non è così, scendendo per li rami, per quella italiana. Forse attende un nuovo Papa Francesco per incoronarlo suo leader (copyright di Massimo D’Alema), ma fin qui dobbiamo registrare solo polemicuzze di basso conio su salario minimo e referendum sul Jobs Act (qui si nega il proprio passato per meschine convenienze elettorali) a trazione sindacale. E dobbiamo registrare una linea di politica estera (sul conflitto russo-ucraino come quello mediorientale) a trazione 5 Stelle.
La sinistra non si distingue
Insomma, la politica è in Sede Vacante. Per parlare di diritti, la sinistra ha preso Bergoglio come leader di riferimento. Per parlare di lavoro, ha appaltato la questione alla Cgil e si è aggrappata ai referendum lanciati da Maurizio Landini. Peccato che né il Santo Padre né il sindacato siano in Parlamento. Il risultato? I partiti, sempre più spaesati, cercano aiuto fuori dal palazzo perché non riescono più a fare breccia nel cuore dei cittadini. Eppure, la sinistra – che si professa europeista e che ambisce a prendere il timone del Paese – dovrebbe distinguersi per la chiarezza della sua ricetta alternativa al governo, non svendere la propria funzione politica. Un partito non può rinunciare né ai princìpi né alla propria cultura. Specialmente oggi che ricorrono 77 anni dalla prima riunione del Parlamento della Repubblica italiana.
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