Se una trattativa è una trattativa, è segreta: se si sapesse quel che accade in queste ore, andrebbe a monte. Putin fa concorrenza a Godot, il personaggio di Samuel Beckett che tutti aspettavano ma non arrivava mai. Il Presidente russo è uno specialista nell’esercizio di essere e non essere: per ora non c’è, ma tutti lo attendono. E così ha fatto Trump, stufo di fare l’apripista per il presidente russo, il quale gioca sia a scacchi che a poker: arrocco e difesa, bluff e carte coperte. Le delegazioni dei due paesi in guerra si sono sistemati in città diverse della Turchia, tutti pronti con la valigia in mano a ritornare a casa. Ma la verità sembra in realtà più promettente: finché la messa in scena dura, le probabilità di successo sono più alte. Quando leggerete queste righe è possibile che qualcosa sarà già avvenuto. Putin ha mandato ad Istanbul una squadra di sconosciuti che ha fatto saltare i nervi a Zelensky, l’unico dei tre protagonisti (essendo gli altri Putin e Trump) attivissimo e quasi nevrotico sul campo. I russi sono specialisti nell’arte di dilazionare, negare, negare di aver negato e far saltare i nervi. Il ministro degli Esteri russo ha fatto sapere che- su richiesta turca – i primi colloqui, semmai cominceranno solo all’imbrunire.

Zelensky ha pranzato col presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, il padrone di casa e il suo attivismo dovrebbe convincere Trump del proprio “commitment”, mentre il Presidente americano prosegue di nel suo viaggio in Arabia Saudita ma sempre disponibile a correre in Turchia se “qualcosa accade”. Ed è sicuro che qualcosa debba accadere perché Trump ha aggiunto: “Abbiamo schierato i nostri migliori negoziatori che stanno facendo un ottimo lavoro”. L’insieme di questi frammenti certifica che la macchina invisibile è in moto. Tutti sanno che c’è un nodo da sciogliere ed è russo. Putin è affamato di tempo per tentare di sfondare militarmente in Ucraina e tratta il “cessate il fuoco” come la tela di Penelope, disfacendola ogni giorno. Lo spingono su questa linea i suoi circoli militari guidati dall’ex ministro della Difesa Shoigu, secondo cui la guerra può essere vinta con la forza. E finora le armi hanno intensificato il fuoco. Comunque, due sono i fronti in competizione: quello delle apparenze e quello del campo di battaglia. Putin rivendica il primato di aver proposto questo round con gli ucraini, ma allo stesso tempo è assente. Da due settimane Trump ha capito il gioco e si è molto seccato. Zelensky diche che vorrebbe parlare con Putin ma quando sfoglia l’ultima lista dei partecipanti il nome del presidente russo non compare. Scacchi e poker: arrocco delle parole e bluff sulla linea del fuoco.

La guerra continua e nessuno può dire con certezza che una trattativa sia iniziata. Zelensky tenta di costringere i russi a mettere le carte in tavola pretendendo di conoscere i nomi dei veri partecipanti: “tutto è inutile – dice il presidente ucraino – finché non sappiamo quale sia il livello della delegazione russa e se è autorizzata a prendere decisioni. Tutti scalpitano o fanno finta: il segretario di Stato americano Marco Rubio ripete che l’amministrazione Trump è “impaziente” di vedere risultati. L’aggettivo “impaziente” non è diplomatico ma contundente. La delegazione russa ha cercato di alleggerire il clima confermando almeno il luogo degli attesi colloqui: lo stesso palazzo di Istanbul in cui si svolsero i primi negoziati fra russi e ucraini. Come dire: se vi stiamo dando l’indirizzo, vuol dire che la festa ci sarà. Trump ha risposto che per lui un luogo vale l’altro: “Aperto ad accettare qualsiasi luogo purché si vada avanti”.

Questi minuetti di parole, indirizzi, liste d’attesa, assenze e larvate presenze servono a dare un’idea di quanto i dettagli di scarsa importanza vengano distribuiti come merendine soltanto per dire che lo show sta andando avanti, parafrasando la famosa pièce di Giraudoux “La guerra di Troia non si farà”. Gli uomini del Dipartimento di Stato e dell’Amministrazione diffondono note diplomatiche dello stesso tenore: l’America non è abituata a farsi prendere in giro, e la nostra pazienza dipende dalla convinzione del Presidente che la trattativa sia vera perché non possiamo perdere la faccia davanti al mondo. Sono finiti tempi in cui Trump diceva agli ucraini che la guerra era cominciata per colpa loro perché “avreste dovuto trovare subito un accordo”. Adesso siamo nella nuova fase che segue la riunione degli occidentali volenterosi, cioè pronti a intervenire in difesa dell’Ucraina e che si sono trovati a Kyiv sabato: Emmanuel Macron con i suoi missili a disposizione, il nuovo cancelliere di ferro tedesco Friedrich Merz, il primo ministro inglese Keir Starmer e quello polacco Donald Tusk. È indubbio che la coesione dell’Europa dei duri abbia avuto un effetto di accelerazione nel processo mentale di Putin, anche se non è ancora detto, perché veramente nulla per ora è stato detto. Ed è la prima volta che il nervosismo europeo è preso in considerazione sia dagli americani che dai russi.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.