Israele e i suoi nemici
Imboscata ai danni di Tajani all’Università di Brescia. L’eco di Rachele Scarpa e il punto sulle manifestazioni romane

Il mattino ha “loro” in bocca. Dove “loro” sono proprio i pro-Pal che si muovono in coordinamento per contestare chi rappresenta le istituzioni, colpevole di non essere mai abbastanza duro con Israele. Venerdì mattina è toccato a Antonio Tajani: il ministro degli Esteri – che solo il giorno prima, alla Camera, aveva espresso parole di condanna verso il governo israeliano e la sua condotta di guerra – è stato fischiato sonoramente mentre entrava nell’università di Brescia. Il grido di battaglia, “Fuori Tajani, fuori Israele dall’Università. Basta complicità con l’occupazione e il genocidio israeliano, Palestina Libera”, è stato scandito da decine di attivisti con la kefiah, ed arrivava dopo che trecento dipendenti dell’Università, nei giorni scorsi, avevano firmato una lettera aperta al rettore Francesco Castelli perché consegnasse a Tajani, nero su bianco, la loro protesta. A fare da eco a quelle grida, e da sponda parlamentare, si è prestata la deputata dem Rachele Scarpa.
Le accuse di Scarpa
Sarà lei, nel corso del pomeriggio, a rivolgere a Tajani le stesse accuse: «Durante l’informativa alla Camera, ancora una volta, il ministro Tajani ha scelto la via dell’inazione, confermando l’inerzia politica e diplomatica del governo Meloni di fronte alla gravissima crisi umanitaria in corso a Gaza». Le accuse della Scarpa sono affilate e confondono in un tutt’uno il governo Meloni, Tajani e Netanyahu: «Gli aiuti entrati sono stati gestiti da contractor militari israeliani, causando il caos nella distribuzione e portando a episodi di violenza contro la popolazione palestinese. Alla vigilia della manifestazione del 7 giugno, chiediamo che l’Italia si schieri apertamente con i partner europei che invocano quantomeno una revisione dell’accordo di associazione tra Unione Europea e Israele. Non possiamo restare inerti: serve un’azione diplomatica decisa, all’altezza della tradizione umanitaria e democratica del nostro Paese». E sempre per il Pd ci si mette anche l’eurodeputato Dario Nardella: «Bisogna passare ad azioni concrete nei confronti del governo Netanyahu come chiede anche una parte degli Israeliani». E sull’iniziativa del governatore pugliese Michele Emiliano interviene Francesco Boccia: “Di fronte alla tragedia di Gaza la scelta del presidente Emiliano e del sindaco Leccese, a nome delle loro amministrazioni, di interrompere i rapporti commerciali con il governo di Israele mi sembra una iniziativa da osservare con grande attenzione, figlia di un sentimento condiviso dai cittadini di questi territori. Mi pare un bel segnale”.
Le manifestazioni
Le manifestazioni del 6 a Milano e del 7 a Roma continuano a far discutere, soprattutto all’interno dei partiti che hanno capito di dover affrontare una piazza per niente facile. Non governabile. Italia Viva – per bocca di Matteo Renzi, ieri – si rammarica di non aver trovato un accordo per una unica manifestazione unitaria. E certo, toccherà ai numeri fare la differenza. Renzi ricostruisce: «Su Gaza è stata convocata una manifestazione da Pd, Avs e Cinque Stelle per sabato 7 giugno. Avrei preferito una cosa unitaria, peccato. Le forze più di sinistra hanno insistito sul fare una piattaforma tutta loro, prendere o lasciare». Spetta a Carlo Calenda fare qualche distinguo per precisare il motivo della sua scelta milanese: «Nella piattaforma del 7 manca il pezzo su Hamas, il pezzo su chi vuole la distruzione dello Stato di Israele, il pezzo sull’antisemitismo ancora più forte e pronunciato». Di pronunciato ci sarà molto, non dubitiamo. Sono previsti a Roma, per il kefiah party, tutti i centri sociali d’Italia.
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