Il commento
Il paradosso della ciucciagine, tutti dietro la lavagna di De Luca e la sua comunicazione piratesca

Se la decisione della Consulta ha definitivamente sbarrato a Vincenzo De Luca le porte di una nuova ricandidatura, dopo quelle del 2010, 2015 e del 2020, impendendogli di inseguire un terzo mandato consecutivo alla guida della regione Campania, contemporaneamente ha alleggerito però la sua comunicazione, già da sempre molto piratesca, da eventuali e possibili cautele politiche e di posizionamento. Ogni giorno che passa il presidente assomiglia sempre più una locomotiva lanciata a tutta velocità verso la scadenza elettorale e, ancora prima, verso la scelta del candidato presidente del centro-sinistra.
Il lessico
L’altro giorno, parlando ai giovani laureati in Medicina dell’Università Federico II di Napoli, Vincenzo De Luca ha ricordato alla platea titolata che “c’è gente che pensa a dividersi i candidati. A volte autentici analfabeti, io rispetto il proletariato, ma i ciucci non possono dirigere una regione come la Campania. Non siamo tutti uguali”. Adesso, la figura del ciuccio, l’accezione popolaresca più conosciuta e utilizzata in particolare nel Mezzogiorno per chiamare l’asino, è stata riproposta coscientemente da De Luca per delegittimare le attese e le ambizioni di coloro che puntano alla successione senza godere del suo supporto, della sua benedizione e della sua benevolenza. Per noi meridionali il ciuccio è una persona ignorante, che non è in grado di svolgere ruoli e funzioni elementari, che non richiedono particolari sforzi intellettuali o di ragionamento. Eppure, Vincenzo De Luca che si è sempre vantato della sua laurea in filosofia e si diletta spesso a infarcire i suoi interventi di una qualche citazione dotta, reminiscenza proprio degli studi classici, dimentica colpevolmente che l’ignoranza rimane comunque una condizione transitoria e non certo permanente o definitiva. Concettualmente, per non dire filosoficamente, siamo tutti in qualche misura dei ciucci, lo siamo stati o potremmo esserlo ogni qualvolta decidiamo di iniziare una nuova intrapresa o di sfidare i nostri limiti.
I ciucci di De Luca
Quindi, De Luca, pur di dare credibilità a una distinzione forzata tra politici o amministratori bravi che devono togliere spazio e opportunità a quelli incapaci, tra i cosiddetti primi contro gli ultimi della classe, cade in quello che potremmo definire il paradosso della ciucciaggine. Se l’ignoranza viene descritta come una condizione non sanabile nonostante l’impegno, lo studio sul campo, un percorso di esperienza fatto di errori e di comprensione degli stessi, allora non è più ignoranza, bensì diventa demenza, che ovviamente è altra cosa. De Luca definisce ciucci coloro che invece dovrebbe chiamare semplicemente avversari, per evitare che qualcuno presto o tardi gli possa ricordare che di ciucci anche lui ne ha conosciuti tanti o peggio ancora, ne ha portati tanti in cattedra. Da sindaco di Salerno e da presidente della Campania.
Un cambio
Ecco perché, Vincenzo De Luca, che tutto è fuorché stupido, dovrebbe in questa delicata fase della lunga avventura politica provare a modificare profondamente il suo lessico, quello che lo ha fatto apprezzare e diventare un personaggio. Non è un’abiura, ci mancherebbe, ma soltanto una scelta di buon senso che può aiutarlo a passare il testimone nel migliore dei modi.
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