Esteri
Il mondo inizia a capire, a Gaza non c’è futuro se resta Hamas

Tra le dirigenze del mondo arabo si sta esaurendo la riluttanza a dichiarare che non c’è nessun futuro per Gaza se Hamas continua a esercitarvi il proprio potere. Si può discutere sul fatto che questa diversa inclinazione si debba, o no, agli uffici e all’azione commercial-diplomatica di Donald Trump. Ma è indiscutibile che la nuova piega si è avuta con, e dopo, l’insediamento della nuova amministrazione statunitense.
Il ministro degli Esteri degli Emirati, Abdullah bin Zayed, magari pensava anche mesi fa che Gaza dovesse essere liberata dalle dirigenze terroristiche che ne sequestrano il futuro e ne condannano il presente: ma è solo dell’altro giorno la sua dichiarazione secondo cui “c’è bisogno di un’autorità – che non sia Hamas – che controlli Gaza”. È solo un esempio (dopo indizi sauditi ed egiziani un po’ vaghi, ma dello stesso tenore) di un clima mutato, forse, non “a causa” dell’avvicendamento a Washington, ma certamente dopo quel cambio sulla scena del potere americano.
Anche in Israele si è registrato uno sviluppo sul medesimo argomento. La neutralizzazione delle capacità offensive di Hamas, ovviamente, ha sempre rappresentato il dichiarato obiettivo del governo: ma solo alcuni giorni fa Benjamin Netanyahu comunicava di ritenerlo prioritario. E “prioritario” significa invertire l’ordine retorico più accettabile (“liberare gli ostaggi e sconfiggere Hamas”), e lasciare intendere che prevale l’esigenza di neutralizzare chi minaccia l’esistenza di Israele. Non significa ancora dichiarare che gli ostaggi possono essere sacrificati, ma significa già accettare il rischio che la loro sorte sia compromessa.
Non deve essere sottovalutato, in questo drammatico quadro decisionale, un elemento di prospettiva tutt’altro che secondario. Hamas, avendo buona ragione di crederlo, ha spietatamente giocato con la vita degli ostaggi, nella convinzione che gli israeliani non avrebbero sopportato il ricatto cui erano sottoposti. Invece hanno deciso di combattere contro quella pressione per non doverla sopportare in futuro. Un futuro di altri ostaggi, se il potere di Hamas non sarà eradicato. Sarebbe un futuro di altri ebrei rapiti, dei quali la comunità internazionale si interesserebbe, come ha fatto con questi, non perché Hamas li ha rapiti ma perché Israele non è riuscito a salvarli. Israele non può impedire che gli ostaggi siano il proprio punto debole, ma può impedire che siano il punto di forza della società palestinese governata da Hamas. Qualcuno fuori da Israele, forse, comincia a capirlo.
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