Esteri
Gli scandali dietro le richieste di arresto di Bibi e Gallant
Secondo il Wall Street Journal, il procuratore Karim Khan avrebbe agito frettolosamente dopo aver tentato di dissuadere la testimone che lo accusava di abusi sessuali

Prima di richiedere l’arresto di Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, il procuratore della Corte Penale Internazionale, Karim Ahmad Khan, riferiva a Antony Blinken, Segretario di Stato degli Stati Uniti, di avere in programma una visita in Israele e a Gaza. Spiegava che il viaggio serviva ad assumere le informazioni necessarie al completamento del dossier.
Senza giustificazione apparente, tuttavia, il procuratore Khan annullava il viaggio programmato e, il 20 maggio del 2024, in una conferenza stampa appositamente dedicata all’argomento, annunciava di aver richiesto alla Corte l’emissione dei mandati di cattura. Ora il Wall Street Journal riferisce che l’annullamento di quella missione a Gaza e in Israele, nonché la repentina richiesta di arresto dei due politici israeliani, avvenivano non solo in concomitanza ma a causa di indagini per abusi sessuali sul conto di Khan, indagini che proprio in quel periodo stavano sostanziandosi nella testimonianza della parte lesa. Il procuratore ha sempre negato di aver commesso quegli abusi, ma dalle rivelazioni del Wall Street Journal emergerebbe una circostanza nuova: e cioè che Khan avrebbe tentato di dissuadere la vittima, in particolare spiegando che le indagini a suo carico per abusi sessuali avrebbero avuto un impatto negativo sulla procedura della Corte Penale Internazionale circa le responsabilità per crimini di guerra nel conflitto di Gaza.
Non si era mai capito perché Khan decise di annunciare in conferenza stampa la richiesta di emissione degli ordini di arresto, anzi gli era stata segnalata l’opportunità mantenere riservata la richiesta cosicché la Corte potesse valutarla nel dovuto riserbo e senza lo strepito che altrimenti si sarebbe prodotto con la divulgazione della notizia. Non era dunque l’urgenza di far arrestare Bibi e Gallant a portare Khan davanti a quella foresta di microfoni e telecamere (la richiesta di arresto sarebbe andata avanti ugualmente, non c’era nessun bisogno tecnico di farne pubblicità). L’urgenza era un’altra, se è vero quanto è ora emerso: fare chiasso con quella richiesta di arresto per tamponare la possibile esplosione di uno scandalo che andava ben oltre le allegazioni di abuso sessuale e riguardava, ben più gravemente, presunte pressioni sulla parte lesa affinché essa lasciasse perdere.
Non basta. La Corte ha impiegato mesi per pronunciarsi sulle richieste di arresto. Lo ha fatto accantonando il grosso delle accuse formulate da Khan, giudicate prive di qualsiasi riscontro, mentre gli ordini di arresto sono stati emessi sulla base di un residuo accusatorio del tutto generico a proposito di una presunta carestia a Gaza nel maggio dell’anno scorso. Poi, a poche settimane da quella conferenza stampa, emergevano dati sulla situazione di Gaza che smentivano non solo la sussistenza a quell’altezza di tempo, ma anche l’effettivo incombere, della presunta carestia. Ma Khan rispondeva dicendo che non aveva il potere di sottoporre alla Corte gli sviluppi della situazione.
È difficile immaginare che Israele – che nel frattempo ha chiesto la dichiarazione di inefficacia degli ordini di arresto – non sia legittimato a denunciare che qualcosa non filava per il verso giusto nell’interventismo del procuratore Khan.
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