È bastato un guasto alla rete elettrica per spegnere intere città e riaccendere il dibattito su un tema che riguarda da vicino l’Unione europea e l’Italia: siamo davvero pronti alla transizione energetica? Il blackout dello scorso 28 aprile ha lasciato la forte sensazione di un’infrastruttura energetica europea comunque sotto pressione, chiamata a rinnovarsi e non soltanto aumentando la quota di energia da fonti rinnovabili.
Ma dietro alle scadenze delle direttive europee si nasconde una sfida comunque enorme. «Serve programmazione a medio-lungo termine, meno interventi una tantum e più stabilità normativa», a parlare è Roberto Rossi, presidente di Assistal, l’Associazione di categoria, aderente a Confindustria, che rappresenta le imprese specializzate nella fornitura di Servizi di Efficienza Energetica (ESCo), Facility Management ed imprese impiantistiche.

Dopo il blackout in Spagna si è parlato molto di fragilità della rete e del ruolo delle rinnovabili. È un campanello d’allarme anche per l’Italia?
«Con la crescita dell’energia da fonti rinnovabili, è nettamente aumentata la complessità di gestione della rete. Non possiamo attribuire la responsabilità alle energie rinnovabili per eventi simili e, allo stesso tempo, ignorare le leggi che dovrebbero regolarle. Le rinnovabili non sono il problema e anzi sempre più spesso rappresentano una soluzione. Il problema risiede nella mancanza di infrastrutture adeguate e di pianificazione seria. Ben vengano quindi alcune delle misure contenute qui in Italia nel dl Bollette, ma ad ogni modo non bastano. La transizione energetica va governata con competenza, altrimenti rischiamo blackout non solo fisici, ma anche normativi».

La pianificazione a livello europeo però esiste. A che punto è l’Italia?
«Il nostro Paese ha ancora molto da fare. Secondo gli ultimi dati Enea, i consumi energetici nel settore civile rappresentano circa il 40% del totale nazionale. E nel nostro paese oltre il 60% degli edifici è ancora in classe energetica F o G. Anche l’attuale ritmo di riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico è inadeguato: solo il 2% è stato efficientato negli ultimi 10 anni, rispetto a un obiettivo annuo previsto del Pniec del 3%. Per questo motivo è urgente un piano nazionale con una regia centrale, incentivi stabili, formazione adeguata e un’azione coordinata con le Regioni. Altrimenti rischiamo una transizione fatta solo di annunci cui seguono continue smentite».

Ci spiega meglio?
«Prendiamo ad esempio gli obiettivi europei al 2030 stabiliti dall’Oiert, il decreto in definizione al Mase: bene fissare traguardi ambiziosi, ma non possiamo scaricare tutto il peso sulle imprese, senza valutare concretamente le condizioni di partenza. Un esempio su tutti è quello degli edifici energivori, come gli ospedali: i volumi di energia necessaria sono tali che alimentarli con la quota di rinnovabili prevista dagli obiettivi europei è attualmente irrealistico. Per questo serve una strategia che non si limiti a incentivare l’efficienza, ma che punti anche a produrre energia rinnovabile nelle quantità necessarie, con infrastrutture adeguate e una pianificazione coerente».

Dopo il decreto bollette, le imprese parlano di occasione mancata: quali misure servono per non restare indietro in Europa?
«Serve un rapido cambio di passo. Non possiamo più permetterci una transizione energetica che grava sulle spalle delle imprese, mentre i competitor internazionali – dentro e fuori l’Unione europea – viaggiano con costi molto più bassi. L’energia è diventata una variabile decisiva per la competitività. Ma non si tratta solo di sgravi o compensazioni. Servono strumenti per accompagnare la transizione, non per subirla: estendere i benefici sugli oneri di sistema e velocizzare le autorizzazioni. Sono misure a costo zero, già praticate in altri Paesi europei».

Cesare Giraldi

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