Oggi il Consiglio di economia e finanza
Difesa Ue sul tavolo dell’Ecofin, c’è la carta Safe ma Ursula è la grande assente (non giustificata)
Prestiti fino a 150 miliardi, incognita Ungheria. Domani la sentenza Pfizergate: a rischio la credibilità di von der Leyen

Nelle agende dell’Eurogruppo di ieri e dell’Ecofin di oggi – per l’Italia c’è Giorgetti – il dialogo strategico sull’industria europea della Difesa è tornato a essere un nodo da sciogliere rapidamente. «Ci confronteremo sul Safe», si legge nella lettera di invito al summit firmata dal ministro polacco delle Finanze, Andrzej Jan Domański. Prende sempre più forma lo strumento che istituisce prestiti fino a 150 miliardi di euro e con cui l’Ue ambisce a fornire una propria soluzione alle gravi sfide geopolitiche e alle minacce alla sicurezza globali. La soluzione dovrebbe essere condivisa da tutti i suoi membri e collaterale a quella Nato. Il condizionale è d’obbligo, vista l’opposizione dell’Ungheria a qualsiasi manovra di Bruxelles che abbia un retrogusto anti-russo.
C’è di buono che Safe è il primo passo di un piano finanziario destinato a incrementare in modo significativo gli investimenti nella filiera da parte di tutti i membri dell’Unione. A oggi sono già 16 gli Stati che hanno deciso di richiedere l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale proposta dalla Commissione. Un blocco che dimostra «il forte impegno della stragrande maggioranza dei nostri governi nel rafforzamento delle necessarie capacità di Difesa nell’Ue». Questo per stare alle parole di circostanza di Domański. Il non detto è che molti governi si sono resi conto dell’opportunità. Di questi tempi, Difesa vuol dire finanziamenti. I finanziamenti attraggono gli investimenti. Quindi posti di lavoro, benessere, consenso, eccetera.
D’altra parte, il tempo stringe. Il premier polacco Tusk vuole chiudere la partita prima della scadenza della sua presidenza di turno, a fine giugno. Dopo sarà la volta della Danimarca, anche lei interessata alla sicurezza, visto il nodo Groenlandia. Tuttavia, una cosa è parlare di sicurezza a Copenaghen, un’altra è farlo a Varsavia, dove il rischio di ingerenza russa è sempre dietro l’angolo. Inoltre, la Polonia non vuole lasciarsi sfuggire l’occasione di farsi bella di fronte all’alleato Usa. Forte del 5% di spese in sicurezza che sarà raggiunto entro fine anno, assapora l’idea di passare come quella che ha dato il calcio d’inizio alla Difesa comune. Ma il tempo stringe per le procedure. È interesse condiviso restare nei tempi della procedura d’urgenza. In caso contrario, il Safe tornerebbe sul tavolo del Consiglio a giugno, per poi rischiare di andare in Parlamento. Un’ultima spiaggia che tutti vogliono evitare, in quanto consapevoli che a Strasburgo il progetto verrebbe impallinato. E non solo dai Patriots.
La sicurezza Ue procede, quindi. A neanche una settimana dall’erogazione, da parte della Commissione, della quarta tranche dell’assistenza macro-finanziaria eccezionale (Mfa) all’Ucraina, per un valore di un miliardo di euro. E appena due giorni dopo il viaggio di Macron, Merz, Starmer e, appunto, Tusk a Kyiv, a sostegno di Zelensky in vista di un suo ipotetico incontro con Putin a Istanbul. È indubbio l’impegno finanziario Ue per l’Ucraina. Mfa ha un valore complessivo di 18,1 miliardi di euro. Dall’inizio dell’anno, ne sono stati versati 6. I restanti 12 miliardi andranno erogati entro dicembre. I rimborsi dei prestiti saranno coperti dai proventi dei beni sovrani russi immobilizzati nell’Ue. Bruxelles si conferma così la prima sostenitrice finanziaria dell’Ucraina. Oltre che di armamenti, da parte dei singoli governi. Volenterosi per primi, la cui missione in Ucraina smonta le bufale di Trump e dà sostanza a un impegno comune, se non altro informale, di voler un asset di sicurezza a misura di questo continente.
Tuttavia, i due punti deboli del percorso restano la scarsa rappresentatività di Bruxelles e le tinte vaghe con cui è stato finora tratteggiato il piano di Difesa comune una volta che le risorse saranno trasferite davvero ai governi nazionali. Per questo secondo tema c’è un margine di lavoro. Ben più urgente è intervenire sul fatto che von der Leyen non si sia ancora incontrata con Trump e che tra i volenterosi risulti come la grande assente. Come si fa a parlare di Difesa comune con una presidenza così evanescente sul dossier più caldo di queste settimane? Peraltro, domani è attesa la sentenza sul Pfizergate. In gioco c’è la credibilità europea.
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