Quando il nome dello sconosciuto Karol Wojtyla, primo papa straniero fu annunciato il 16 ottobre del 1978, si sollevò un boato di entusiastica sorpresa perché quel cognome si pronuncia Voitìua e molti urlarono: “È africano, è il Papa nero!”. Poi Giovanni Polo II disse: “Se sbaglio mi corriggerete”. E fu amore a prima vista. Parlò in italiano ma dedicò due minuti per salutare in polacco i suoi connazionali. Il secondo papa straniero fu Ratzinger che parlò in italiano e poi rivolse un festoso saluto in tedesco ai compatrioti. Papa Bergoglio non mancò di rivolgersi in castigliano con forte accento argentino ai suoi connazionali.

Primo papa americano che ha chiarito di non essere americano

E infine venne il papa nato e cresciuto negli Stati Uniti che parla un italiano impeccabile e con eleganza pronuncia le citazioni latine ma dalla sua bocca, vedendo agitarsi in festa bandiere a stelle e strisce, uscì solo un affettuoso saluto in spagnolo-peruviano che lasciò con un palmo di naso gli americani passati così dalla gioia alla frustrazione. È d’obbligo concludere che il “primo papa americano” abbia voluto chiarire di non essere americano ma soltanto di essere nato in un sobborgo poverissimo e cattolico di Chicago, Illinois, che abbandonò per diventare vescovo di Chiclayo in Perù dove ha vissuto per decenni. Circolavano già le immagini di lui al tramonto nell’ora del vespro mentre cavalcava l’anima popolare del Perù. Così, l’ex “Brother Bob” diventò Padre Roberto, agostiniano e campesino. Incontrò e strinse un’amicizia e condivisione di vedute con l’argentino Mario Bergoglio che, diventato papa e sentendosi prossimo alla fine, gli ha imposto di trasferirsi a Roma per crearlo cardinale con una delle ultima infornate. Il futuro Leòn, era il 2023, protestò con un pizzico di civetteria: “Non è che sia sempre stato d’accordo con Mario Bergoglio perché preferivo rimanere nel mio Perù”.

Papa Francesco nominò Cardinali tutti coloro che sentiva vicini e costruì un conclave che condividesse la sua linea di cattolicesimo proiettato sul Sud del mondo. Che il nuovo Papa nato a Chicago non avesse rivolto una sola parola ai suoi connazionali, è stata una sferzante notizia in America sulle prime pagine, perché figlia di una scelta religiosa e politica. Come se avesse detto: “Fellow Americans, fatevene una ragione perché io ho scelto l’altra parte del mondo e prendete nota: Yo soy Léon Papa, y Roberto Prevost como hombre”. Noi in Europa ce ne siamo accorti di meno, ma il tema “due americani che governano il mondo e possono parlarsi nella stessa lingua”, si è spento come miracolo geopolitico, pur restando aperta l’ipotesi di un accodo su un nuovo genere di tariffe.

I due padroni del mondo “entrambi americani”

Papa Leone ha avuto per ora la fortuna di veder avviate trattative più concrete fra Russia e Ucraina e può rivendicare di aver subito bollato l’aggressione russa come una aggressione e non come conseguenza di secolari incomprensioni. Questa svolta, prodotta certamente dal netto cambiamento d’umore di Donald Trump nei confronti di Putin (“Quell’uomo mi sta prendendo in giro e sono pronto ad agire”) gioca a favore di un migliore inizio fra Trump e Leone, ma ognuno a casa sua, distanti e distinti. Ma finiscono le fantasie nate dalla speranza di una unione naturale sui due padroni del mondo, della materia e dello spirito, entrambi americani. Francesco stesso non era che il prodotto di un lungo cammino aperto da Leone XII con la questione sociale, poi il papato di Giovanni XXII. I due problematici Paoli, il sindacalista polacco e papa Ratzinger, l’ultimo propagatore del Cristo europeo a nostra immagine e somiglianza.

Si discute ancora se le dimissioni di Ratzinger fossero valide per il rito canonico, ma il Papa estraneo fu convinto a sedersi a meditare su una panchina dei giardini vaticani, vittima dell’insonnia e sostituito con Bergoglio erroneamente bollato come comunista ma autore nella Compagnia di Gesù (mai un gesuita prima di lui fu mandato sul soglio di Pietro) di una Chiesa sia in alleanza che competizione con gli Stati del Sud che tendono a far massa con i Brics di Putin. Bergoglio pianse molto i morti innocenti ucraini ma non usò la Chiesa per chiudere la guerra in Ucraina e difese sempre “il mio buon amico Kirill”, sedicesimo patriarca di Mosca, che benedice le truppe combattenti russe con le parole: “Andate e vincete contro gli ucraini e se la patria ve lo chiede, accettate di morire da patrioti”.

La Chiesa di oggi, come ricordava Claudio Velardi nel suo editoriale di sabato 10 maggio, “dispone della più grande e stabile rete di contatti senza pregiudizi nel mondo”. Ha davvero una grande opportunità. Ma sarebbe un errore dimenticare che questa rete cattolica è forte perché legittimata da tutto ciò che è estraneo e ostile al nostro mondo europeo americano occidentale. Il nostro Cristo, per dirla in modo spiccio, è morto con Ratzinger e rinasce dall’Africa della tratta degli schiavi e dalle Americhe di due papi di nuovo genere e dottrina.

Avatar photo

Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.