Caro 2024, l’anno che ti ha preceduto, è stato un micidiale annus orribilis con una straripante escalation di eventi catastrofali. Sono stati ben 378, calcolano l’Ispra e Legambiente, e hanno devastato pezzi d’Italia, lasciandoci sul groppone un 22% di emergenze in più sul 2022. L’amara certezza è che lo Stato si è fatto carico ancora danni miliardari per soccorsi, riparazioni e ricostruzioni, con un bilancio finanziario catastrofico che si avvicina paurosamente alle cifre della manovra 2023 del governo, senza contare le incalcolabili 31 vite umane perdute e i drammi di chi ha perso tutto.
È diventata inesorabile la conta degli “Stati di emergenza nazionale” emanati dopo alluvioni o frane, terremoti ed eruzioni. Se dal 2014 sono stati 148, negli ultimi 12 mesi il loro ritmo è salito a ben 2 decreti al mese. E le sole più devastanti alluvioni del 2023 – in Romagna tra l’1 e il 17 maggio e in Toscana dal 3 al 4 novembre –, sommate a quelle del 2022 – nelle Marche del 25 settembre 2022 e a Ischia del 26 novembre 2022 -, hanno prodotto danni complessivi per oltre 15 miliardi di euro e lasciano 45 morti.
L’orribilis 2023 chiude il sipario con 118 allagamenti per nubifragi, 82 cicloni e trombe d’aria pazzesche, 39 grandinate con dimensioni di chicchi impressionanti, 27 esondazioni fluviali, 26 mareggiate con erosioni, 18 crolli di frane, 16 eventi con gravi danni a infrastrutture e 3 al patrimonio storico. Ci ha regalato la coda della siccità storica iniziata nel 2022. Non ci ha fatto mancare terrorizzanti scosse sismiche, fortunatamente senza vittime ma con spargimenti di tensioni e paure soprattutto nei Campi Flegrei dove il perenne ribollire della caldera ha fatto contare nell’anno la serie thriller di oltre 5.000 piccoli sconvolgenti terremoti. In più, qua e là abbiamo subìto botte sismiche con danni come i 4.8 gradi Richter del 15 settembre a Marradi sul Mugello fiorentino che ha portato a 8 le ricostruzioni in corso in Italia.

Stati di emergenza, è la genetica dell’Italia

È la genetica dell’Italia, bellezza! È l’autobiografia della nostra Nazione. Vero, ma il fatto è, caro 2024, che oltre ad essere il Paese show room mondiale di ogni pericolo naturale da sempre, il 2023 più caldo di sempre ha reso evidente il nostro essere diventati hot-spot di effetti climatici nell’area del Mediterraneo. E l’anno vecchio lascia il mondo sulla temibile soglia di 1,4°C in più di temperatura sui livelli 1850-1900, a ridosso degli 1,5°C considerato il limite da non superare a fine secolo nell’accordo sul clima di Parigi nel 2015, e nella Cop28 di Dubai. Ai ritmi attuali si viaggia verso un range dai 2,5°C ai 2,9°C in più al 2100, e altri impatti saranno disastrosi.
Inutile farsi pie illusioni, eventi estremi saranno una costante anche nel 2024 con il ritorno di El Niño, la corrente calda lungo la fascia tropicale del Pacifico riscalda di qualche decimo di grado un’area che vale terzo della Terra, e scombussolerà il Mediterraneo. Tocchiamo ferro? Cornetti di corallo? Invochiamo un santo protettore? Ci affidiamo alla buona sorte o all’arte di arrangiarsi, e al si salvi chi può? Lasciamo fare all’incuria, al disinteresse, al cinismo, al concentrato di distrazioni? Oppure ognuno inizia a fare la sua parte, a partire dal piano più alto, quello del governo, per una svolta radicale nelle difese?

Stati di emergenza, in legge bilancio nemmeno un rigo

Se vogliamo evitare un’altra annata segnata dall’amarissimo stallo – in legge di bilancio l’emergenza clima non merita nemmeno un rigo -, per non scivolare incupiti nella ineluttabilità degli eventi, l’unica strada contro un altro pigro fallimento sarebbe l’avvio di un programma ambizioso ma realistico di misure e infrastrutture di adattamento e mitigazione, cercando responsabilità politiche condivise che oggi su altri fronti non si riescono ad esprimere. Bisogna però che chi governa si sporchi le mani, inizi a pensare a come difendere gli italiani, le città e i nostri settori produttivi, il nostro ambiente naturale. Il “prima gli italiani” non dovrebbe valere nel 2024 anche per questi allarmi più concreti e preoccupanti di quelli che impegnano lo scontro politico?
L’”adda passà a nuttata” in questi casi, in attesa non si sa di cosa, non funziona, anzi è il fatalismo per noi è fatale. Il governo piuttosto è chiamato ad uno scatto, a fare di tutto di più per iniziare a tutelare territori e economie da rischi da brivido. Pensiamo solo ai futuri allagamenti previsti per il rialzo del mare – nei prossimi 40 anni sotto i 20-30 centimetri – che coinvolgeranno fino a 5.500 km2 di pianure dove oggi si concentrano città con oltre metà popolazione, agricoltura e industrie a partire da quella turistica. Basterebbe telefonare ai superesperti della Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile, del Cnr, Enea, Ispra o del Centro Euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici per farsi l’idea degli squilibri ecologici che ricadranno sui nostri figli e nipoti.
Servirebbe una regia operativa forte e autorevole e anche condivisa. Solo Palazzo Chigi può dare questa garanzia, come è accaduto con Italiasicura, poiché è l’unico baricentro da dove poter gestire la complessità delle misure indicate con precisione nel “Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici”. È un ottimo programma di azioni e cantieri già bell’e pronto, fermate la sua inutile navigazione tra uffici ministeriali che dura dal 2018, e iniziate a pianificare. Fate l’esatto contrario della continua riduzione dei fondi, come nelle ultime revisioni del PNRR, dove la voce “riduzione del dissesto idrogeologico” cioè di circa 11.000 nodi di rischio frane o alluvioni o erosione lungo la penisola, è declassata tra gli “elementi di debolezza” a rischio di mancati milestone entro il 2026. Se dagli iniziali 8.4 miliardi della prima stesura erano diventati 2,487 oggi, rileva l’Ance nel Rapporto Cresme, sono 1,53 miliardi, di cui 1,2 destinati alla Romagna.
Servirebbe una strategia di shock salutari, non la calma piatta e né il tirare a campare. Mettere in piedi una struttura tecnica alla Presidenza del Consiglio che si occupasse di programmare e metter giù progetti, gare e cantieri, coordinare le Regioni. Senza perdere troppo tempo, rafforzate il Dipartimento “Casa Italia” allargando le sue “funzioni di prevenzione e di contrasto al dissesto idrogeologico e di riduzione del rischio sismico…” con le competenze del Piano di Adattamento Climatico.

Spesa per danni alluvioni e frane: dal dopoguerra 358 miliardi

L’Italia non può permettersi lo stallo di fronte ad una spesa pubblica nazionale annua per danni da alluvioni e frane pressoché triplicata. Dal dopoguerra lo Stato ha sborsato 358 miliardi di euro complessivi, ma negli ultimi 13 anni i 4,5 miliardi in media all’anno dal 1946 sono saliti a 6 miliardi. Per i terremoti siamo all’esborso medio di 3,1 miliardi all’anno per ricostruzioni per un totale di 246 miliardi di euro. Ma i soli 3 peggiori disastri sismici degli ultimi 14 anni – L’Aquila 2009 con 17,4 miliardi impegnati, l’Emilia 2012 con altri 13 miliardi e il Centro Italia 2016-2017 con 23,5 miliardi- sommano 53,4 miliardi, oltre metà dei 100 miliardi calcolati per un piano antisismico nell’edilizia nazionale nelle aree più a rischio. Nell’anno nuovo non converrebbe rilanciare lo scomparso sismabonus?
Caro 2004, ci sarebbe poi un altro settore vittima dei nostri ritardi infrastrutturali: l’acqua. Non siamo solo il Belpaese d’o Sole ma, come nessun altro, abbiamo il record delle piogge con 301 miliardi di metri cubi all’anno. Di questo bene della natura preleviamo ogni anno l’11,3%, all’incirca 34,2 miliardi di metri cubi. Di questi ne utilizziamo 26,6 miliardi – 51% in agricoltura, 21% nell’industria, 20% nel civile, 5% per l’idroelettrico, 3% nella zootecnia – e qui c’è la prima amara verità. Perdiamo per strada per infrastrutture obsolete e abitudine allo spreco 7,6 miliardi di metri cubi di acqua! Nell’utilizzo industriale e urbano è imbarazzante l’incapacità di riuso di acqua piovana o di depurazione. Non c’è sorveglianza sui volumi prelevati se non nel segmento di consumo al rubinetto del 21%. Le ultime 9 siccità dal 2000 ci sono costate 30.000 miliardi e cali di Pil.

Stati di emergenza, avviare 4 urgenti riforme

Che fare nei prossimi 12 mesi? Avviare almeno 4 urgenti riforme. La prima, per affidare all’ARERA, l’Autorità nazionale e indipendente di regolazione dell’energia elettrica, gas e servizio idrico integrato, la regolazione e la sorveglianza complessiva di tutti i prelievi e gli usi idrici. La seconda, per attivare un piano di interventi poiché troppe nostre crisi idriche sono solo crisi di infrastrutture idriche, soprattutto al Sud. Potremmo tranquillamente fronteggiare qualsiasi siccità, se solo riuscissimo a “conservare” più acqua che arriva dal cielo, a ripulire dai sedimenti le 531 grandi dighe che oggi accumulano circa 8 miliardi di m3 di acqua ma avrebbero una capacità totale di invaso per 12 miliardi, e realizzare almeno altri 2000 piccoli e medi invasi. La terza, per la revisione della benemerita legge Galli del 1994 che se ha chiuso emergenze croniche e storiche, ha fatto il suo tempo. Se lascia 10 milioni di italiani con problemi di acquedotto e circa 20 milioni senza fognature o depuratori – e paghiamo 145.000 euro ogni santo giorno per le prime 2 infrazioni europee a condanna – vuol dire che serve proprio un bel tagliando. Anche per riportare l’acqua nelle leggi di bilancio dello Stato dalle quali è sparita 20 anni fa, sostituita dall’illusione che tutto potesse essere scaricato nella bolletta tra le più basse dell’Ue.
Tutto richiederebbe, caro Anno Nuovo, nuove responsabilità e non il trascinamento di storie di “virgogna” che sembrano sceneggiature di Camilleri. Il riferimento è alle ultime rabberciate baraccopoli di Messina sempre in piedi come relitti del sisma che distrusse la città il 28 dicembre 1908. Ancora 116 anni dopo, il Decreto Milleproroghe ha promesso risanamento, demolizioni, rimozioni, smaltimento, bonifica, riqualificazione urbana e ambientale della bidonville dove continuano a vivere 1.700 famiglie. Rifugi della povertà eredati da padre in figlio e sopravvissute a due guerre mondiali, a re e governi, al boom economico e arrivate nel terzo millennio custodiscono la tragedia epocale che non riesce a diventare un monito.
Da ottimisti, nonostante tutto, speriamo in una buona annata.