La storia
Alle origini della parola Palestina, termine geografico strumentalizzato da sempre: toponimo equivoco contro Israele
La storia (che non tutti sanno) di Palaestinē. Non compare nella letteratura ebraica e aramaica biblica o post-biblica e nel Nuovo Testamento. L’obiettivo di un utilizzo così distorto? Lo stesso: negare l’ebraicità della Eretz Israel, ancora oggi

Palestina libera dal fiume al mare. La Palestina ai palestinesi. La Palestina ai tempi di Gesù. La Palestina dell’Impero Ottomano. A prima vista sembra tutto chiaro, ma il termine Palestina è tanto antico quanto ambiguo. Eppure in nome della Palestina negata ai palestinesi si occupano università, si compiono attentati, si boicottano cantanti, docenti, libri. Proviamo a chiedere aiuto alla storia.
Il nome Palaestinē compare più volte in Erodoto come toponimo geografico. Compare anche in scrittori successivi di epoca greca e romana, come Aristotele, o negli estratti di Agatharchide riportati da Fozio, ma anche Diodoro usa il termine e persino Strabone. Chi abitava, dunque, la Palestina? Non certo popolazioni arabe, né tantomeno islamiche, dal momento che l’Islam nascerà soltanto nel VII secolo dopo Cristo e dunque più di mille anni dopo Erodoto. Di fatto, quando Erodoto si riferisce alle popolazioni che vivevano in Palestina, adopera il generico termine di siriani (Surioi), anche se in uno specifico passo – unico in tutta la sua opera – afferma che vi erano delle persone “chiamate” Palaestinoi, che però “erano Surioi”. In altre parole, anche Erodoto non aveva le idee completamente chiare: ciò appare evidente soprattutto nel momento in cui afferma che questi particolari siriani praticavano la circoncisione.
Anche se non possiamo sapere esattamente chi fossero queste persone definite palestinesi, il fatto che praticassero la circoncisione suggerisce che potrebbe trattarsi del popolo ebraico. D’altra parte, proprio Erodoto, nel secondo volume delle Storie, al paragrafo 104 afferma che “solo gli egiziani, i siriani che vivono in Palestina e i fenici, si circoncidono fin dall’infanzia”. Pertanto questi siriani della Palestina – termine che Erodoto usa per identificare il popolo che abitava la regione meridionale del Levante, tra Fenicia ed Egitto, quindi proprio nell’area che comprendeva il regno di Giuda e Gerusalemme – erano quasi certamente gli Yehudim. Cosa ci suggerisce questo? Che per Erodoto era il popolo ebraico a vivere in una regione geografica che, per qualche oscuro motivo (non certo etnico), egli definiva Palestina.
Da dove deriva dunque il termine Palaestinē? Tom Robbins ha suggerito che il nome possa aver avuto origine da Pale, antica divinità androgina, venerata nella regione di Canaan. Altri pensano che possa essere collegato a quella porzione di terra, lungo la costa mediterranea, abitata un tempo da greci micenei, più conosciuti – grazie alla Bibbia – come filistei. Non è per nulla semplice tuttavia comprendere perché proprio quel toponimo sia stato successivamente adoperato per indicare l’intero Paese o perché i cosiddetti “siriani circoncisi”, ovvero gli ebrei, siano stati in qualche modo “legati” al termine Palaestinoi. Di fatto, i filistei non erano circoncisi e scomparvero del tutto, in buona parte assimilandosi, entro il VI-V secolo a.C. Resta altresì evidente che il termine Palaestinē non compaia mai nella letteratura ebraica e aramaica biblica o post-biblica. E, nonostante i cristiani di oggi siano abituati a riconoscere Israele come Palestina, il termine Palaestinē non compare mai nel Nuovo Testamento, che parla invece di terra d’Israele. Neppure il Corano, ancora secoli dopo, adopera espressamente il termine Palestina.
Significativo anche il fatto che, dopo la conquista romana della Terra d’Israele, nel 70 d.C., gli occupanti avessero coniato una serie di monete commemorative in cui si proclamava la Iudaea capta, ovvero la Giudea conquistata. Non si trovano tracce di una Palaestina capta. Motivo per cui gli occupanti chiamarono il territorio provincia Iudaea. In quella provincia c’era un unico grande tempio, quello ebraico, a cui ricorrevano tutti gli abitanti della regione. Com’è noto, soltanto dopo la rivolta di Bar Kochba, nel 135 d.C., i romani – sotto la guida dell’Imperatore Adriano – sostituirono il nome della provincia Giudea in Palaestina nel tentativo di consolidare la distruzione degli ebrei e di cancellarne ogni legame con la Terra d’Israele. Allo stesso modo, sostituirono il nome di Gerusalemme con quello di Aelia Capitolina.
Non pare dunque errato ritenere il toponimo Palaestina come termine colonialista usato dagli stranieri per riferirsi alla terra d’Israele. Tuttavia – suggerisce il prof. Danzig nei suoi studi – lo stesso termine “non era usato o conosciuto dalla gente che viveva in quell’area, a meno che non leggesse il greco o il latino. Si potrebbe paragonare il termine Palestina ai toponimi geografici ‘Asia Minore’ o ‘Sud-Est’ imposti da stranieri che però non indicano un’identità nazionale né riflettono la corrente terminologia locale. Un’analogia anche più simile potrebbe essere la pratica francese di riferirsi al popolo Dakota come Sioux, un termine peggiorativo usato dai loro nemici, gli Algonchini”.
Dopo la conquista araba nel VII secolo, il termine Filastin fu adottato dai governanti arabi come termine geografico (senza tuttavia precisi confini o specificità amministrative) per una parte del bilad al-sham o Grande Siria, mentre la versione latinizzata del nome Palestina continuò a essere usata dai cristiani in Occidente per riferirsi alla terra d’Israele. Ad ogni modo, dopo gli ottomani, saranno gli inglesi ad adoperare il toponimo Palestina per il Mandato della Lega delle Nazioni: un termine adoperato per indicare l’attuale Israele e l’attuale Giordania.
Quando il 14 maggio 1948, poco prima della scadenza del Mandato stesso, David Ben Gurion dichiarò la nascita dello Stato di Israele, lo fece senza specificarne i confini, dando per scontato che fossero quelli suggeriti dall’Onu e in attesa che gli arabi facessero lo stesso con lo Stato di Palestina. Ciò su cui è corretto riflettere è che, dal momento che nessun altro Stato venne proclamato in Palestina (preferendo una guerra di aggressione nei confronti d’Israele), il principio dell’uti possidetis implicava – da un punto di vista del diritto internazionale – che l’intero territorio del Mandato ricadesse sotto la sovranità israeliana. Pertanto la successiva annessione giordana, all’indomani della guerra, e l’occupazione egiziana avrebbero dovuto essere considerate illegali. La storia è poi nota: nel 1964 Yasser Arafat fondò l’OLP, letteralmente Organizzazione per la Liberazione della Palestina. L’obiettivo dichiarato non era quello di liberare gli abitanti della Cisgiordania e di Gaza, poiché questi non erano ancora sotto il dominio israeliano, ma si trovavano sotto occupazione giordana ed egiziana (e lo sarebbero rimasti sino al 1967), ma di “liberare” la terra di Palestina dallo Stato ebraico. Il “popolo palestinese” ancora non era nato, e le aspirazioni di Arafat guardavano a una Grande Siria, motivo per cui nel 1948 non era stata proclamata la nascita dello Stato di Palestina, ma era stata dichiarata guerra allo Stato d’Israele.
Cosa possiamo dedurre, tornando alla nostra riflessione iniziale? Che dalla sua prima apparizione in Erodoto e fino alla metà del XX secolo, il toponimo “Palestina” è stato esclusivamente o quasi un termine geografico, non etnico, adoperato al solo scopo di negare l’ebraicità della Terra d’Israele. Oggi la storia si ripete.
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